Pubblicato: 30 Gennaio 2017 - Categoria: Pubblicazioni

* Relazione presentata nell’incontro di studio "Profili applicativi e fiscali del trust in ambito familiare. Dalla regolamentazione della vita di coppia all’ipotesi del “Dopo di noi”", svoltosi a Firenze il 27 gennaio 2017, organizzato da AIAF Toscana in collaborazione con la Fondazione per la Formazione Forense dell’Ordine degli Avvocati di Firenze - Scuola Forense.

L’argomento che mi è stato assegnato è: Il Trust per il “Dopo di noi”: tra istanze private e pubblici interessi.

Perché parlare con avvocati che si occupano di diritto di famiglia della legge sul “Dopo di noi” ?

Perché, per dirla con le parole di Tolstoj, “Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” e non vi è dubbio che l’avvocato di famiglia è il professionista che meglio di qualunque altro è in grado di conoscere le radici di quell’infelicità, soprattutto quando si trovi ad assistere famiglie che affrontano quotidianamente la disabilità dei propri cari.

Avere un figlio disabile, non autosufficiente, rappresenta un grande impegno. Impegno che appare insostenibile quando il genitore prova ad immaginare il possibile destino del figlio dopo la sua morte, perché sa che l’unica ancora di salvezza di quel figlio potrà essere – nella migliore delle ipotesi - la generosità degli altri figli o dei parenti più prossimi.

Il nostro sistema pubblico in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone con disabilità, è purtroppo cronicamente deficitario; le due leggi più importanti in materia attendono ancora piena attuazione (mi riferisco alla l. 104/1992 cd legge quadro per l’assistenza e l’integrazione delle persone con handicap e l. 328/2000 cd legge quadro sul sistema integrato dei servizi sociali – ricorda: qui è disciplinato il “progetto individuale” richiamato dalla l. 112/2016).

E’ sempre la famiglia che ha, in definitiva, il carico e la responsabilità di provvedere ai bisogni speciali dei figli, così che quando la famiglia non c’è più o non è più in grado di fornire quel necessario sostegno, il rischio è il ricovero sine die in istituto della persona disabile, l’allontanamento dal suo habitat, l’interruzione di tutti i programmi posti in essere dalle famiglie sin dalla tenera età in vista dell’emancipazione del figlio dall’assistenza familiare, in definitiva l’isolamento…

Con buona pace dei principi solennemente proclamati dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed infine dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall'Italia con legge 3 marzo 2009 n. 18)

Ebbene, proprio nel tentativo di attuare quei principi è intervenuta la L. 22 giugno 2016 n. 112 (pubblicata in G.U. n. 146 del 24 giugno 2016 ed entrata in vigore il giorno successivo), in gergo chiamata legge del “dopo di noi”, che si pone già in premessa l’obiettivo di “favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia” delle persone con disabilità.

Come raggiungere questi obiettivi?

La legge stabilisce una serie di interventi da attuarsi su due versanti, quello pubblico e quello dell’autonomia privata, facendo applicazione, su questo secondo versante, del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 co. 4 Cost. secondo cui lo Stato favorisce l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale (principio questo stabilito con la riforma costituzionale del 2001 quale conseguenza e presa d’atto a livello politico della irreversibile crisi dello stato sociale …). 

Gli interventi sul versante pubblico.

Tralascio volutamente di soffermarmi sulle disposizioni che stabiliscono modalità e termini dell’intervento statale, limitandomi a segnalare che è stato istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali un apposito “Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare” (art. 3) finanziato secondo quanto previsto all’art. 9, cui si potrà attingere per realizzare le finalità di cui all’art. 4.

Il Fondo finanzierà – sulla base dell’atteso decreto attuativo del Ministero - interventi volti ad impedire l’istituzionalizzazione, a favorire forme di cohousing, di associazionismo e di mutuo aiuto tra persone disabili, programmi per l’accrescimento delle competenze e dell’autonomia e altro (art. 4), finalità che potranno realizzarsi – in virtù del principio di sussidiarietà orizzontale – anche ad opera e con il coinvolgimento del terzo settore e delle associazioni di famiglie di disabili (art. 4 co. 2).

L’art. 4, che definisce appunto le finalità del Fondo, contiene una sorta di nomenclatore degli interventi e potrà venirci utile nel momento in cui saremo chiamati a dare assistenza nella stipulazione degli atti negoziali agevolati di cui all’art. 1 comma 3, poiché dovremo inserire e mettere in evidenza in quegli atti “le funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità grave”, ma soprattutto “le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni” delle stesse, comprese le attività finalizzate a ridurre il rischio della “istituzionalizzazione”.

Sempre sul versante pubblico, la legge stabilisce che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dovranno garantire su tutto il territorio nazionale ai soggetti disabili di cui all’art. 1 comma 2 prestazioni assistenziali omogenee, obiettivo raggiungibile attraverso il procedimento di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da adottarsi ex legge 6 maggio 2011 n. 68 attraverso la Conferenza Stato-Regioni (ai sensi dell’art. 8 D.Lgs.n. 281/1997) in applicazione dell’art. 117 comma 2 lett. m della Costituzione.

Le regioni e le province autonome sono perciò chiamate ad attivarsi sia per l’individuazione dei suddetti livelli essenziali (art. 2), sia adottando “indirizzi di programmazione”, sia definendo “i criteri e le modalità per l’erogazione dei finanziamenti, per la pubblicità dei finanziamenti erogati e per la verifica dell’attuazione delle attività svolte e le ipotesi di revoca dei finanziamenti concessi” (art. 3 commi 2 e 3).

Nelle more della definizione dei LEP si provvederà con decreto ministeriale che stabilirà “gli obiettivi di servizio”, cioè le modalità e i requisiti per accedere alle prestazioni gravanti sul Fondo. 

L’intervento sul versante privato.

E’ con le disposizioni previste sul versante privato che la legge 112/2016 rivela tutta la sua importanza per noi operatori del diritto poiché, attraverso regimi fiscali di favore (di cui vi parlerà in dettaglio il dott. Bertolini), promuove la stipula, in favore delle persone con disabilità grave (art. 1, comma 3),:

  • di polizze di assicurazione
  • -di trust
  • di vincoli di destinazione ex 2645 ter c.c.
  • di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario da concludere anche con ONLUS.

 

Gli istituti privati di protezione dei disabili prima della legge 112/2016

Prima della legge sul “dopo di noi”, per “programmare” una forma di tutela per il figlio bisognoso di assistenza per l’evenienza di non potersene più occupare (per morte, invalidità vecchiaia), normalmente il genitore ricorreva al testamento, disponendo la sostituzione fedecommissaria (o fedecommesso assistenziale) prevista dagli articoli 692 ss. cod. civ.

Mediante tale istituto il testatore effettua una doppia istituzione, una immediatamente efficace fin dall’apertura della successione, in favore del primo istituito rappresentato dal soggetto debole, e l’altra in favore di un secondo istituito che si è preso cura del primo, efficace dalla morte dell’incapace.

Più precisamente è previsto che i genitori possano istituire il figlio interdetto (ma anche i nonni e il coniuge, rispettivamente a favore del nipote e del coniuge) con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, abbiano avuto cura dell’interdetto medesimo.

Rispetto ai beni lasciati al primo istituito si crea una sorta di vincolo di destinazione “allo scopo”, potendo i creditori di quest’ultimo agire esecutivamente non sui beni lasciati ma solo sui frutti prodotti da quelli.

La stessa disposizione è applicabile a favore del minore di età nel caso in cui si trovi nelle condizioni di abituale infermità di mente, tali da far presumere che al compimento del diciottesimo anno egli verrà interdetto.

L’istituto in parola pone evidenti limiti qualora lo si voglia impiegare nella medesima situazione ipotizzata dal legislatore del “dopo di noi”.

Guardando all’ambito soggettivo, ad esempio, il fedecommesso può essere utilizzato solo se la persona beneficiata sia un interdetto al quale sia stato nominato un tutore ex art. 414 c.c., mentre la nuova legge consente l’impiego degli strumenti negoziali previsti dall’art. 6 a favore dei “disabili gravi”, e quindi anche per soggetti che soffrono di una disabilità fisica ma che non sono affetti da alcuna patologia mentale tale da far luogo all’interdizione.

La nuova visione delle misure di protezione a favore del disabile, tende a restringere l’ambito di operatività dell’interdizione per favorire la più tenue misura dell’amministrazione di sostegno – che lascia il più possibile invariata la capacità di agire del soggetto.

Ecco allora che il fedecommesso familiare – già poco utilizzato – ha finito per essere uno strumento del tutto obsoleto preferendosi ricorrere con più frequenza al trust (tanto più che i beni conferiti in trust, alla fine del programma possono “rientrare” nel patrimonio familiare e non ne escono definitivamente come nel fedecommesso).

Disponenti nel fedecommesso possono essere solo il genitore, l’ascendente e il coniuge, mentre la legge n. 112/2016 non pone limiti sotto questo profilo, ammettendo anche soggetti diversi dai genitori - addirittura non legati da vincoli di parentela con il soggetto beneficiato - a stipulare uno degli atti negoziali con finalità di protezione [1]

Si è anche fatto ricorso con una certa frequenza in passato ad un altro istituto testamentario. Il de cuius cioè poteva effettuare un lascito a titolo di erede o di legato a favore di un determinato soggetto, gravandolo al contempo ex art. 647 cod. civ. dell’onere (o modus) di prestare assistenza materiale o morale a favore di un determinato soggetto disabile. Simile disposizione, che ricalca lo schema del vitalizio alimentare previsto dall’art. 1872 co. civ., presenta l’inconveniente di non creare alcun vincolo di destinazione (o di separazione patrimoniale) con finalità assistenziali sul patrimonio attribuito per testamento. Nasce invece un semplice rapporto obbligatorio in capo all’erede e al legatario, alla cui volontà di adempiere o meno l’obbligazione di prestare assistenza è affidato il sostegno morale e materiale del disabile.

In questi casi, si pone comunque il problema del divieto di pesi o condizioni sulla quota dei legittimari (art. 549 c.c.) laddove le disposizioni modali abbiano ad intaccare la legittima dell’onerato.

Trust, vincoli di destinazione e fondi speciali.

La legge 112/2016 invece favorisce e richiama strumenti privatistici atipici, non del tutto consolidati nel sistema giuridico italiano (se non addirittura di creazione esclusivamente dottrinaria qual è il “contratto di affidamento fiduciario”), finora stigmatizzati da una parte della dottrina e della giurisprudenza sia per la loro estraneità al sistema giuridico italiano (vedasi l’istituto di origine anglosassone del trust), sia per il contrasto con il principio generale di responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., ovvero per la loro attitudine a mascherare finalità elusive del suddetto principio.

Vero è che l’autonomia privata può liberamente esplicarsi purché in vista della soddisfazione di interessi meritevoli di tutela (art. 1322 comma 2 cod. civ.) e in quest’ottica il legislatore italiano sembra aver riconosciuto, con la legge de qua, la piena legittimità di tali strumenti, quantomeno allorché perseguano le finalità di cui alla legge stessa.

In prima lettura una parte della dottrina ha messo in dubbio la portata “sostanziale” delle disposizioni di cui all’art. 6. Si è infatti affermato che il provvedimento è nato come legge in materia fiscale, recante agevolazioni di tale natura e non nuove norme di diritto sostanziale e che, pur facendo riferimento il legislatore a istituti sconosciuti (del tutto o quasi) al nostro ordinamento, non si possa ammettere che essi siano stati ivi “tipizzati”, dovendosi invece ricercare altrove la loro disciplina e, solo ove esistente, i relativi atti potranno godere dei benefici fiscali previsti dalla nuova normativa.

L’art. 6 comma 1 della legge 112/2016 - con espressione a-tecnica, considerato che oggetto di tassazione non è il bene bensì la pattuizione - statuisce che i beni e i diritti “conferiti” in trust ovvero “gravati” da vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter cod. civ. ovvero “destinati a fondi speciali” (si tratta dei fondi cui fa riferimento il comma 3 dell’art. 1, “composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario anche a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale”), sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni.

Il successivo comma 2 chiarisce che le esenzioni e agevolazioni previste nel medesimo articolo saranno applicabili solo a condizione che le operazioni negoziali sopra descritte siano espressamente ed esclusivamente finalizzate all’inclusione sociale, alla cura e all’assistenza delle “persone con disabilità grave” in favore delle quali siano stipulate. La disposizione impone pertanto che di simile finalità sia fatta espressa menzione nell’atto.

Non è invece requisito per la stipulabilità dei negozi previsti nell'art. 6, l'assenza di “sostegno familiare” in capo alla persona disabile, sia perché la disciplina delle misure di assistenza, cura e protezione è dall'art. 1 della legge prevista anche “in vista del venir meno del sostegno familiare”, sia perché tale requisito non compare né nell’art. 1 comma 3 (che indica gli atti e le erogazioni agevolate) né nell’intero art. 6 che appunto si occupa dei negozi oggetto del regime fiscale di favore.

I negozi in questione potranno dunque essere stipulati a prescindere dalla mancanza (attuale o potenziale) del sostegno familiare.

Estrema rilevanza, ai fini dell'applicabilità dell'art. 6, ha invece il requisito di forma, poiché il comma 3 dell'art. 6 prevede che le esenzioni e agevolazioni in esso previste si applichino - tra l'altro - a condizione che l'istituzione del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario, che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1, ovvero la costituzione del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile avvengano per atto pubblico.

Occorre precisare che l’art. 6 comma 11 rinvia ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze - da emanarsi di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge - la definizione delle modalità di attuazione dell’articolo stesso. Attraverso le attese norme di dettaglio sarà forse possibile dipanare una serie di problematiche che emergono da una prima lettura del testo normativo e dalla segnalata atipicità degli istituti di diritto privato ivi richiamati. 

Le singole figure negoziali

1.1 - Il trust

Andando quindi ad esaminare le singole figure negoziali contemplate nell’art. 6 della legge ci si pone immediatamente il problema riguardo al trust e all'individuazione dell'istituto di riferimento, considerato che l'Italia non ha una normativa specifica in materia e che l’unica legislazione esistente allo stato è quella che ha ratificato la Convenzione de L’Aja sulla legge applicabile al trust del 1° luglio 1985 (L. n. 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1° gennaio 1992).

Tramite tale legge è stata riconosciuta la legittimità dei trust istituiti all’estero e ne è consentita l’istituzione in Italia (cd trust interni) anche nel caso in cui, pur essendo disciplinato da una legge straniera scelta dal costituente, coinvolga soggetti (disponente, trustee, beneficiari) residenti in Italia o abbia ad oggetto beni ivi siti.

Secondo la figura definita dall'art. 2 della Convenzione, per trust si intendono i negozi giuridici istituiti da una persona, il costituente - con atto tra vivi o mortis causa – con i quali taluni beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico.

Con il trust, in sostanza, il disponente affida e trasferisce in proprietà ad un altro soggetto di sua fiducia uno o più beni, affinché quest’ultimo ne assuma il controllo e li gestisca nel rispetto delle finalità stabilite all’atto di costituzione e nell’interesse di uno o più beneficiari.

Pur non essendo una figura negoziale tipica, il trust è espressione di autonomia negoziale ed è legittimo solo laddove la causa che sorregge il negozio sia lecita e meritevole di tutela, visto che per assicurare il raggiungimento della stessa l’ordinamento prevede un effetto particolarmente consistente quale la segregazione, ossia la separazione dei beni conferiti nel trust dal restante patrimonio del trustee, il quale a sua volta non gode di tutte le prerogative proprietarie, non potendo fare suoi i frutti, né godere dei beni stessi ma è tenuto solo ad utilizzarli e gestirli nell’interesse dei beneficiari.

Ugualmente i beni in trust non cadono in successione in caso di decesso del trustee così come non possono essere oggetto di azioni esecutive promosse dai suoi creditori personali e sono esclusi dall’eventuale regime di comunione legale tra coniugi. L’effetto segregativo, o vincolo di separazione, si verifica pertanto sia con riguardo al patrimonio del disponente (da cui materialmente i beni sono espunti) sia con riguardo al patrimonio personale del trustee (con il quale quei beni non si confondono) e il tutto avviene nell’interesse del/dei beneficiari.

Occorre comunque segnalare che i trusts hanno ormai trovato in Italia una diffusa applicazione, testimoniata dalle numerose pronunce giurisprudenziali emanate negli ultimi anni.

Se quindi il legislatore ha inteso fare riferimento alla figura del trust di cui alla citata Convenzione si porrà il problema dell'applicabilità della nuova legge ai trust successori (sicuramente inclusi nel regime agevolato stante il riferimento all'esenzione dall'imposta sulle successioni).

Si tratta dei trust costituiti per testamento ovvero per atto inter vivos ma destinati a spiegare effetti dopo la morte del settlor.

Questo tipo di trust mal si coordina con le norme inderogabili in materia successoria. D’altronde l’art. 15 della Convenzione Aja sancisce il rispetto delle norme interne inderogabili previste per alcune materie, quali quella testamentaria e successoria (cfr. tutela della quota legittima), la tutela degli incapaci e la protezione dei creditori.

Si porta ad esempio il caso di un trust istituito dall’imprenditore, con conferimento dell’azienda in trust, con beneficiari i figli quanto ai proventi percepibili vivente il settlor e con obbligo per il trustee di ritrasferire l’azienda ai figli alla morte del disponente.

Questo tipo di operazioni negoziali presentano indubbie analogie con il mandato post mortem, vietato dal nostro ordinamento poiché ritenuto in contrasto con il divieto di patti successori sancito dall’art. 458 c.c. (superato solo dalla tassativa disciplina del patto di famiglia di cui all’’art. 768 bis e ss.).

Si è affermato in proposito che in tutti questi casi non si tratterebbe di negozi mortis causa (dove la morte costituisce la causa della disposizione) bensì di negozi post mortem, in quanto la morte del disponente costituirebbe il termine o la condizione di efficacia della disposizione stessa. L’atto è destinato a soddisfare interessi diversi da quelli successori e realizzerebbe da subito una parte dei suoi effetti (trasferimento beni, aspettative giuridiche dei beneficiari) senza attendere l’evento morte.

Ciò accade in particolare nell’ipotesi del living trust dove il settlor trasferisca i beni in trust ma si riservi la revoca del conferimento fino a che sarà in vita. Anche qui non vi è superamento del limite dei patti successori (si tratterebbe di negozio trans mortem) con similarità rispetto alla figura del contratto a favore di terzo con prestazione esigibile dopo la morte dello stipulante (art. 1412 c.c.).

O ancora, nel caso del trust di protezione classico, dove l’amministrazione del trustee sia programmata per la soddisfazione degli interessi di figli disabili o minori.

Anche questo tipo di trust deve coordinarsi con il necessario rispetto delle norme imperative del nostro sistema giuridico.

In quest’ultimo ambito merita attenzione la disciplina di cui all’art. 356 c.c. (donazione o disposizione testamentaria a favore del minore con nomina di un curatore speciale per l’amministrazione dei beni).

Qui la disciplina (ritenuta applicabile in tutti i casi di incapacità di agire, quindi anche a favore degli interdetti e con qualche dubbio per i beneficiari di A.d.S.) sottopone ad una serie di garanzie e di controlli l’operato del curatore (assoggettandolo alle autorizzazioni ex artt. 374 e 375 c.c.). La dottrina ritiene possibile istituire un trust che realizzi i medesimi effetti a condizione che siano rispettate le norme valevoli per il curatore speciale.

1.2 - Trust di protezione, amministrazione di sostegno e autorizzazioni giudiziali

Ci si è interrogati sul problema del rapporto tra la disciplina sul trust di protezione con le norme in materia di amministrazione di sostegno, poiché in entrambi gli istituti sono presenti la cura e l’assistenza del disabile.

Ciò non solo con riferimento allo schema (classico) del trust di protezione delineato dalla legge 112/2016, in cui i genitori sono i disponenti (settlor) mentre il trustee coincide, di regola, con un ente o un soggetto particolarmente qualificato alla cura e all’assistenza dei disabili (enti di assistenza, associazioni o fondazioni).

Ma anche con riferimento al c.d. trust autodichiarato e, ove se ne ammetta la figura, a quello autodestinato.

Il primo (trust autodichiarato) ricorre quando uno dei genitori venga nominato trustee, così che la posizione di disponente e quella di trustee vengano a coincidere nella stessa persona.

Tale scelta potrebbe rivelarsi particolarmente utile tutte le volte in cui i genitori siano viventi e decidano di assistere il figlio direttamente, riservandosi la facoltà di designare il trustee successivamente, così che questo soggetto continui dopo la loro morte a prestare le medesime attività di assistenza e protezione.

Il c.d. trust autodestinato, invece, ricorre nell’ipotesi in cui sia lo stesso soggetto destinatario delle misure di protezione a figurare come settlor.

Un esempio di questo tipo è quello preso in considerazione ed autorizzato dal Giudice Tutelare di Civitavecchia (decreto del 5.12.2013) attinente invero ad un’ipotesi di “affidamento fiduciario”, dove l’affidante era la persona sottoposta a AdS che veniva autorizzata a trasferire fiduciariamente la propria quota di proprietà di un immobile alla sorella, da vincolare a garanzia dell’obbligo della sorella stessa (affidataria) di provvedere ai bisogni dell’affidante vita natural durante, con previsione dell’obbligo di ritrasferire tale quota ai nipoti alla morte della beneficiaria, con previsione altresì della sopravvivenza del vincolo in caso di morte dell’affidatario e di un Garante che controlli l’esecuzione degli obblighi e sostituisca l’affidatario (dubbi sulla tenuta di simile negozio rispetto ai limiti successori e rispetto alle “condizioni” di cui all’art. 6 della L. 112/2016, in particolare l’esclusività dell’interesse tutelato che deve riguardare solo il disabile grave).

Il Giudice Tutelare di Genova (con decreto 31.12.2012) ha autorizzato la nomina di un curatore speciale per la sottoscrizione di un contratto di affidamento fiduciario dove i beni da gestire si appartenevano sia al beneficiario disabile che al padre suo amministratore di sostegno.

I trust di protezione autodestinati possono ritenersi pienamente leciti allorché assicurino un sistema di gestione patrimoniale adeguato ed efficace dell’interesse del beneficiario privo di autonomia, creando un sistema proporzionato alle sue esigenze.

Alcune pronunce giurisprudenziali hanno poi ritenuto possibile la compatibilità tra la disciplina del trust di protezione e quella relativa all’amministrazione di sostegno, emergendo una perfetta coerenza tra il funzionamento del trust di protezione e l’istituto previsto dagli articoli 404 ss. cc., sicché il primo può ben ritagliarsi una propria autonomia funzionale tra le misure di sostegno a favore dei disabili.

In quest’ottica si è quindi giudicato ammissibile sia la possibilità di dissociare la figura del trustee da quella dell’amministratore di sostegno, affidando le rispettive funzioni a soggetti diversi, sia la possibilità di incaricare l’amministratore di sostegno per lo svolgimento di una funzione di “guardiano” (che negli atti agevolati ex legge 112/2016 è figura necessaria cfr. art. 6 comma 2 lett. f).

Sotto altro profilo ci si è anche interrogati se nell’ambito di un trust avente quale beneficiario un minore o un incapace, il trustee debba munirsi della prescritta autorizzazione giudiziale (artt. 320, 374, 375, 394, 411, 424 cod. civ. e art. 747 cod. proc. civ.) quando debba compiere atti di straordinaria amministrazione.

L’opinione che appare preferibile, ispirata a prudenza, è nel senso di ritenere necessaria l’autorizzazione per il trustee, solo quando il disponente sia l’incapace (trust autodestinato) e non invece quando i disponenti siano i genitori.

Nel primo caso appare opportuno ricorrere al sistema delle autorizzazioni giudiziali poiché la gestione dei beni conferiti in trust è effettuata dal trustee nell’interesse del settlor che è la persona disabile (ancorché solo temporaneamente trattandosi di beni che dovranno comunque rientrare nel patrimonio dell’incapace).

A meno di non voler ritenere che con l’istituzione del trust il giudice abbia implicitamente autorizzato anche una gestione dei beni da parte del trustee disancorata dal controllo sui futuri ed eventuali atti di straordinaria amministrazione.

Occorre inoltre verificare se i disponenti (diversi dall’incapace) possano o meno esentare il trustee dalla richiesta di autorizzazione, tenuto conto che l’incapace riveste in questo caso esclusivamente il ruolo di beneficiario e non sembra possano sorgere problemi di applicazione necessaria di norme.

2. Gli atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c.

La legge richiama espressamente tra gli atti agevolati la costituzione del vincolo di destinazione di cui all'art. 2645 ter, c.c. (atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela, riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti e persone fisiche).

Questa disposizione codicistica, introdotta nel 2005, prevede la possibilità di rendere opponibili ai terzi, tramite la trascrizione, gli atti negoziali di destinazione di beni, stipulati per atto pubblico, che abbiano una specifica finalità ritenuta meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 co. 2 c.c. e riferibile a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, o altri enti o persone fisiche.

Il patrimonio separato può essere utilizzato dal conferente e dagli altri interessati solo al fine di soddisfare i debiti sorti in funzione del vincolo di destinazione e i creditori del conferente non possono soddisfarsi sul patrimonio destinato, a meno che abbiano trascritto un pignoramento prima della trascrizione dell’atto di destinazione.

Per una parte della dottrina l’art. 2645 ter c.c. è in grado di delineare una nuova fattispecie tipica, il negozio di destinazione, avente una propria causa, una forma (pubblica) un termine (non può durare oltre la vita della persona fisica beneficiaria e comunque oltre i 90 anni) e con legittimazione generale (chiunque vi abbia interesse) ai fini dell’azione per il perseguimento del fine.

La giurisprudenza prevalente ritiene invece trattarsi non di figura negoziale autonoma tipica ma di uno “strumento per attuare la segregazione” nell’ambito di un più ampio programma volto alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. Si deve trattare peraltro di un programma effettivo e che non si limiti alla segregazione tout court[2].

Secondo i primi commentatori nessuna novità di rilievo sembra aver apportato la legge n. 112/2016 rispetto a questi atti. Si tratta infatti di un istituto già disciplinato nell’interesse di persone con disabilità e finora poco applicato nella prassi.

L’opponibilità del vincolo di destinazione ai terzi è qui assicurata dall’espressa previsione di trascrivibilità dell’atto costitutivo. Si è inoltre rilevato che nonostante varie aperture dottrinali rispetto alle categorie di beni che possono costituire oggetto del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter cod. civ. la legge ha assunto un atteggiamento di chiusura, confermando, nell'art. 6 comma 3 lett. e), che esso può avere a oggetto solo beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri .

La norma di cui all’art. 2645 ter cod. civ. è pertanto norma servente, consente di trascrivere gli atti che imprimono un vincolo sui beni, superando il limite posto dalla tassatività delle ipotesi di trascrizione e permettendo quindi il pieno operare dell’effetto “segregazione” laddove esso costituisca un elemento della fattispecie negoziata (fermo restando dunque il vaglio di meritevolezza dell’intera operazione negoziale posta in essere, che sia un trust, che sia un contratto di affidamento fiduciario ecc.).

Ciò nonostante la l. 112/2016 tratta la fattispecie del vincolo di destinazione come autonoma, affiancandola alle altre due del trust e dei fondi speciali amministrati con contratto di affidamento fiduciario.

3. I Fondi speciali amministrati con contratto di affidamento fiduciario

Assolutamente nuova appare infine la fattispecie giuridica dei “fondi speciali” composti da beni sottoposti a “vincolo di destinazione” e disciplinati con “contratto di affidamento fiduciario”.

Il contratto di affidamento fiduciario è stato teorizzato perlopiù dalla dottrina, non gode di alcuna disciplina nel nostro ordinamento né può ritenersi che la legge in commento possa costituire norma sostanziale in proposito, limitandosi ad indicare nell'art. 6 il contenuto necessario che il negozio deve avere per poter godere delle agevolazioni ed esenzioni fiscali. Si tratta invero del medesimo contenuto richiesto anche per le altre due figure del trust e del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter.

Il contratto di affidamento fiduciario è stato definito in dottrina come quel contratto per mezzo del quale un soggetto, affidante, conviene con un altro, affidatario, l’individuazione di taluni beni da impiegare a vantaggio di uno o più soggetti in forza di un programma, la cui attuazione è rimessa all’affidatario.

In questo tipo di contratto ciò che si rivela essenziale e immanente è proprio l’adempimento di un programma in vista di un certo fine. Tutte le vicende che riguardano i soggetti disponente e fiduciario (incapacità, morte ecc.) non dovrebbero essere in grado di intaccare la realizzazione del programma.

La caratterizzazione funzionale comporta inoltre la necessità di un altro elemento essenziale, qual è l’indipendenza dell’affidatario.

Mentre effetto naturale del trust e del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter cod. civ. è la separazione patrimoniale, occorre chiedersi se la legge 112/2016 sia in grado di attribuire un analogo effetto con riferimento a tali “fondi speciali”, che sono “composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione”.

Se cioè i “vincoli di destinazione” disciplinati con “contratto di affidamento fiduciario” siano diversi dal vincolo di destinazione ex art. 2645 ter cod. civ. (che come detto può imprimersi solo su beni immobili e mobili registrati).

L’espressa differenziazione normativa tra tali vincoli e quello di cui all'art. 2645 ter cod. civ. potrebbe allora essere intesa nel senso che sia consentito far confluire nei fondi speciali qualsiasi utilità giuridica patrimonialmente rilevante, fermo restando il problema dello strumento con cui opporre ai terzi il vincolo di destinazione allorché si tratti di beni mobili, crediti ecc., non contemplati nella norma codicistica.

Altro dubbio che la legge 112/2016 non scioglie è se siano ammesse strutture negoziali solo bilaterali, con conseguente (e necessaria) diversità tra disponente dei beni e diritti e gestore dei medesimi, ovvero anche unilaterali, in cui le due figure coincidano. Occorrerà inoltre capire se l'affidamento implica o meno anche il trasferimento dei beni. Certo è che la norma parla di “contratto” e quindi, almeno con riferimento a questa figura negoziale, pare si possa escludere la coincidenza soggettiva tra affidante ed affidatario e quindi lo schema unilaterale.

La legge infine non contempla – incomprensibilmente - tra gli atti agevolati i trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito, come anche le fattispecie negoziali riconducibili al mandato regolato dal codice civile.

Un’eventuale donazione o un lascito testamentario gravati dall'onere di assistere un disabile grave restano pertanto fuori dall'ambito applicativo delle agevolazioni previste dall'art. 6. 

Riducibilità e revocabilità degli atti dispositivi con finalità di protezione.

La legge 112/2016 lascia aperti altri profili problematici, non disciplinati dal legislatore e destinati a creare non poche incertezze in relazione all’effettivo funzionamento degli istituti civilistici contemplati.

Il non chiaro inquadramento giuridico dell’atto dispositivo di trust - vale a dire se esso integri o meno un atto di liberalità o quanto meno un atto gratuito -  potrebbe esporre il negozio all’azione di riduzione (artt. 555 ss. c.c.), all’azione revocatoria o pauliana (art. 2901 c.c.) o addirittura al “pignoramento revocatorio”, di cui all’art. 2929 bis c.c., come di recente introdotto.

Con la conseguenza, assai grave, che la disposizione dei genitori a favore del figlio disabile potrebbe essere in concreto vanificata nei suoi effetti.

Quanto all’azione di riduzione esperibile dall’erede legittimario che sia stato leso o pretermesso nella quota riservatagli per legge - anche a seguito di atti compiuti in vita dal de cuius - il legislatore non ha introdotto alcuna disposizione che ne limiti la portata nel caso l’atto compiuto sia riconducibile a quelli di cui alla L. 112/2016.

L’atto istituivo di trust stipulato dai genitori a favore del figlio, ad esempio, nel caso in cui venisse qualificato come donazione (indiretta) o negozio a titolo gratuito, potrebbe risultare inefficace a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione.

Prima dell’entrata in vigore della legge in esame non sono mancate invero opinioni che con riferimento ai trust di protezione, hanno escluso che tali negozi possano ledere i diritti dei legittimari diversi dal disabile stesso.

Si è osservato, in particolare, che il trust a favore dei disabili non sarebbe riducibile in quanto non si configurerebbe come un atto di liberalità o di donazione, bensì come un atto di adempimento dell’obbligazione legale di assistere e mantenere il soggetto portatore di handicap (obbligo a cui il genitore non potrebbe sottrarsi). Tale adempimento pertanto, non essendo una liberalità ma un atto di natura solutoria, si sottrarrebbe all’azione di riduzione non ledendo i diritti degli altri legittimari.

L’obiezione che viene mossa a tale ricostruzione fa leva essenzialmente sulla considerazione che in base a questa tesi, l’erogazione a titolo di mantenimento a favore del disabile, proseguirebbe anche dopo la morte del disponente, come se permanesse la natura solutoria dell’erogazione, quando è noto invece che l’obbligo di mantenimento del disabile sussiste a carico del genitore disponente solo finché quest’ultimo sia in vita, sì che dopo la sua morte appare difficile escludere la natura liberale dell’attribuzione.

La tesi contraria, inoltre, ricava indiretta conferma dell’estinzione dell’obbligo di mantenimento dal combinato disposto degli artt. 742, co. 1°, c.c. e 564, ult. co., c.c., i quali pur dichiarando esenti da collazione e da riduzione le “spese di mantenimento” – e quindi palesano la natura non liberale di tali attribuzioni – è anche vero che si riferiscono alle spese che hanno fonte in un atto inter vivos, ma sono state anche materialmente effettuate dal de cuius durante la propria vita (in adempimento – appunto – del proprio obbligo legale di mantenimento dei figli) .

In conclusione, laddove il trust in esame prevedesse attribuzioni in favore del figlio disabile del disponente, ancorché in misura non eccedente a quanto necessario per il mantenimento del beneficiario, ma destinate a protrarsi anche dopo la morte del disponente stesso, non potrebbe escludersene la natura liberale e, con essa, l’inattaccabilità della correlativa donazione indiretta effettuata.

A nulla varrebbe in questi casi invocare l’applicazione della Convenzione dell’Aja le cui norme di chiusura (artt. 15, 16, 18) sanciscono:

  • che la Convenzione stessa non ostacola l’applicazione delle disposizioni imperative (quali le disposizioni successorie qui in considerazione), lasciando alla valutazione del giudice interno di salvaguardare gli effetti del trust cercando altri strumenti giuridici;
  • che la Convenzione non osta alle norme di applicazione necessaria;
  • che non è applicabile allorché il negozio stipulato sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico internazionale.

Si aggiunga che la qualificazione dell’atto istitutivo di trust come donazione indiretta, o atto a titolo gratuito, lo rende esposto anche ai rimedi “revocatori”, costituiti sia dall’azione pauliana ex art. 2901 c.c. che al c.d. pignoramento revocatorio ex art. 2929 bis c.c.

Prima dell’introduzione di quest’ultima norma, laddove il debitore avesse posto in essere vincoli di destinazione o atti di alienazione a titolo gratuito, al creditore pregiudicato da detti atti era riconosciuta esclusivamente la facoltà di agire con l’azione revocatoria; egli non poteva, in assenza del passaggio in giudicato della sentenza che revocava il negozio, avviare alcuna procedura esecutiva sui beni oggetto degli atti dispositivi che, una volta trasferiti a terzi, non potevano essere aggrediti con tali procedure (artt. 2902 e 2910, comma 2, c.c.).

Oggi il creditore, a fronte della medesima situazione, può agire direttamente in via esecutiva contro il debitore, trascrivendo da subito il pignoramento ex art. 2929 bis sul bene oggetto del negozio pregiudizievole, senza necessità di ottenere prima la sentenza di revoca dell’atto e a condizione che sussistano determinati presupposti.

Ciò ancor più ove si consideri che la giurisprudenza ritiene che il trust si presti, al pari del fondo patrimoniale (di cui è costantemente affermata la natura di atto gratuito), a sottrarre ai creditori le garanzie di cui all’art. 2740 c.c. . Quando sia sorto o si risolva in frode ai creditori, anch’esso è pertanto soggetto all’azione revocatoria , e quindi all’art. 2929 bis c.c.

Forma e contenuto degli atti.

L'art. 6 comma 3 della l. 112/2016, alle lettere dalla a) alla h) enuncia una serie di “condizioni” che devono essere tutte congiuntamente presenti negli atti negoziali di cui sopra, perché essi possano beneficiare del regime fiscale agevolato.

Gli atti istitutivi di trust, di vincoli di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile e di destinazione a fondi speciali di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario, dovranno innanzitutto essere stipulati nella forma dell'atto pubblico.

Essi devono inoltre:

a) identificare in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli;

b) descrivere “la funzionalità e i bisogni specifici” delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti;

c) indicare le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone con disabilità grave, comprese le attività finalizzate a ridurre il rischio di loro istituzionalizzazione;

d) individuare - a seconda del tipo negozio stipulato - gli obblighi del trustee, del fiduciario e del gestore, riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore del beneficiario;

e) indicare gli obblighi e le modalità di rendicontazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore;

f) prevedere che gli esclusivi beneficiari siano le persone con disabilità grave;

g) prevedere che i beni siano destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del beneficiario;

h) individuare il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte a carico del trustee o del fiduciario o del gestore e i criteri per la sua sostituzione (richiedendo la norma che tale soggetto sia “individuabile per tutta la durata del trust o dei fondi speciali o del vincolo di destinazione");

i) stabilire che il termine finale di durata sia la data della morte della persona con disabilità grave;

l) stabilire la destinazione del patrimonio residuo.

Il dott. Bertolini vi chiarirà la disciplina fiscale prevista dalla legge per questi atti, compresa quella applicabile al ri-trasferimento dei beni e dei diritti che residuano alla morte del beneficiario. 

L’ambito soggettivo

E’ il caso a questo punto di definire meglio l’ambito soggettivo di applicabilità della legge.

I destinatari della normativa, ai sensi dell'art. 1 comma 2, sono i disabili "gravi", come definiti dall'art. 3 comma 3 della l. 5 febbraio 1992 n. 104 (legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), e cioè coloro la cui “minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione”.

La legge non si applica invece agli anziani non autosufficienti (la cui “disabilità” sia cioè “determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità”).

La primaria finalità della legge è quella di “favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità”, a prescindere dalle loro condizioni “sociali”, e quindi dal requisito della mancanza di un sostegno familiare attuale o potenziale. Tale requisito è espressamente richiesto solo per poter beneficiare delle “misure di assistenza, cura e protezione” preannunciate nel comma 2 del medesimo articolo, riguardante gli interventi che dovranno essere assicurati ed attuati da parte pubblica.

Quanto invece alla possibilità di godere delle provvidenze e dei benefici stabiliti sul versante privatistico, tale requisito (e cioè la mancanza del sostegno familiare dei genitori e comunque la condizione sociale attuale o potenziale del beneficiario) perde rilevanza, non è infatti richiamato né nel successivo comma 3 dell’art. 1 (che introduce con la preposizione altresì le ulteriori provvidenze previste dalla legge), né negli articoli 5 e 6, che appunto individuano le attività negoziali dei privati a beneficio del disabile che possono godere delle agevolazioni ed esenzioni ivi previste.

Ciò fa ragionevolmente ritenere che i negozi contemplati negli articoli da ultimo citati possano essere conclusi:

a) dai genitori, a tutela del figlio disabile grave, attualmente o potenzialmente privo del sostegno familiare (la disciplina delle misure di assistenza, cura e protezione è dall'art. 1 prevista infatti anche "in vista del venir meno del sostegno familiare"); in questo caso si applicheranno sia le provvidenze pubbliche che i benefici e le agevolazioni fiscali della legge 112/2016 e la tutela predisposta a livello civilistico andrà ad integrare in questo caso il “progetto individuale” predisposto dagli enti locali in base alla legge 328/2000;

b) dagli altri parenti o da terzi, a tutela del disabile grave privo del sostegno familiare; è da ritenere che anche qui si applicheranno sia le provvidenze pubbliche che i benefici e le agevolazioni fiscali della legge 112/2016;

c) dai genitori e/o dai parenti e/o dai terzi, a favore del disabile grave che comunque non sia privo del sostegno familiare; qui si applicheranno solo i benefici e le agevolazioni fiscali della legge 112/2016 (art. 5 e 6);

d) dai genitori e/o dai parenti e/o dai terzi, a favore di persone affette da disabilità, ancorché non grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della l. 104/92, ma in questo caso è dubbio se si potrà beneficiare delle agevolazioni fiscali.

La finalità genericamente attuativa degli obiettivi della Convenzione di New York del 2006 sui diritti delle persone con disabilità favorisce infatti un’interpretazione estensiva con riguardo ai soggetti che possono compiere le operazioni negoziali di cui all’art. 6, non limitandoli ai soli genitori della persona disabile, come è d’altronde argomentabile dalla disciplina fiscale prevista dai commi 4 e 5 dell’art. 6 per la tassazione degli atti di ri-trasferimento del patrimonio residuo in caso di morte del beneficiario.


[1] Nel trust non vi è l'obbligo di conservare e restituire che rappresenta elemento costitutivo invece della sostituzione fedecommissaria ed anche perché il titolo costitutivo riguardo ai beni rimane pur sempre in capo al trustee senza che vi sia ordine successivo di istituiti.

Non sembra superabile la considerazione che un eventuale trust istituito mortis causa non possa non interferire con le norme dettate in materia successoria. Ne consegue che, anche là dove lo si ammetta, non potranno certo trovare applicazione quelle norme dettate in via eccezionale per la sostituzione fedecommissaria, prima fra tutte la deroga al principio dell'intangibilità della legittima.

La giurisprudenza sul punto ritiene sempre necessario un "giudizio di meritevolezza", volto a verificare, in concreto, che il trust non sia contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, posto che, per il suo tramite, può esservi «violazione della normativa in tema di successione o fedecommesso».

[2] Cfr. di recente Tribunale di Trieste, decreto n. 11753 del 22.4.2015 reperibile su www.ilcaso.it

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