Pubblicato: 08 Maggio 2018 - Categoria: Giurisprudenza

Con la sentenza n. 2770/2017 la prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha ribadito che l’audizione del minore, in tutti i procedimenti giudiziali che lo riguardano ed in particolare in quello in cui si controverta sul suo affidamento, è un adempimento necessario, poiché

attraverso il suo espletamento si dà attuazione al diritto fondamentale del minore ad essere informato e ad esprimere le sue opinioni. Tramite l’audizione si possono inoltre acquisire elementi di primaria importanza per la valutazione dell’interesse del minore, che ben possono essere messi a fondamento delle decisioni riguardanti la sua collocazione presso l’uno o l’altro genitore.

Il caso. Nel pronunciare la sentenza definitiva di separazione di due coniugi il tribunale adito, confermando l’affidamento condiviso del loro figlio minore, aveva disposto il mutamento della collocazione già fissata con i provvedimenti presidenziali presso la madre, stabilendo altresì a carico di quest’ultima un assegno perequativo di mantenimento.

La sentenza veniva appellata dalla madre, che sosteneva la mancata verifica della propria maggiore idoneità ad occuparsi del figlio e l’illegittimità del diniego di accoglimento della domanda ex art. 709 ter c.p.c., avanzata in corso di causa, stante l’inosservanza da parte del padre dei provvedimenti presidenziali, sia economici che riguardanti il regolamento del diritto di visita.

La corte di merito confermava le statuizioni del tribunale, ritenendo in particolare rispondente al superiore interesse del figlio della coppia il permanere della sua collocazione presso il padre, essendo peraltro emerso in sede di “esame del minore”, operato da un consulente tecnico d’ufficio, sia l’insussistenza di segni di “alienazione parentale da parte dell’uno o dell’altro genitore”, sia il desiderio del bambino di continuare a vivere presso il padre, ove riceveva attenzione e cure da più figure che lo stesso descriveva e sentiva come affettive.

Riteneva inoltre congruo l’assegno di mantenimento posto a carico della madre, stabilito - contrariamente alla prassi - in misura “modulare”, conformandolo ai tempi di permanenza del figlio presso la genitrice e persino sospendendolo nei mesi estivi. Assegno quantificato nel caso di specie tenendo conto globalmente delle esigue risorse economiche dell’obbligata (ammontanti a poco meno di mille euro mensili) ma anche dell’apporto che le perveniva dal convivente more uxorio.

La madre proponeva quindi ricorso per cassazione, in particolare lamentando il difetto di istruttoria per la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta riguardo ai comportamenti del padre, dalla stessa ritenuti rilevanti ai fini di una diversa decisione sull’affidamento del figlio.

La Corte di Cassazione, nel rigettare tutti i motivi di impugnazione – molti peraltro dichiarati inammissibili - confermava la correttezza della sentenza impugnata, in particolare per aver posto a fondamento della sua ratio decidendi, di fronte all’ambivalenza delle capacità genitoriali, le dichiarazioni del minore il quale aveva manifestato il desiderio di restare presso il padre.

L’ascolto del minore e gli obblighi internazionali. La legge sull’affido condiviso (L. 8 febbraio 2006 n. 54) ha avviato una vera e propria rivoluzione copernicana nel sistema del diritto di famiglia, ponendo le basi di quel processo di unificazione delle norme in tema di filiazione che ha avuto il suo apice con la legge delega sulla riforma dello stato dei figli (L. 10 dicembre 2012 n. 219) e la sua concreta attuazione a mezzo del decreto legislativo del 28 dicembre 2013 n. 154. La riforma ha così condotto ad una disciplina unitaria minima, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, dei procedimenti relativi all’affidamento dei figli minori a seguito della crisi della coppia genitoriale, disciplina oggi racchiusa nel Capo II del Titolo IX del Libro I del codice civile (dall’art. 337 bis all’art. 337 octies) e nella quale riveste un ruolo fondamentale l’ascolto del minore.

La sentenza che si annota richiama ratione temporis l’art. 155 sexies c.c., introdotto appunto dalla legge sull’affido condiviso, che per la prima volta ha configurato l’ascolto del minore come un adempimento necessario nei procedimenti separativi della coppia genitoriale, adeguando in tal modo il diritto interno agli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale.

Con la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176) lo Stato italiano si è impegnato a garantire al minore capace di discernimento “il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa”, assicurando che tali “opinioni” sarebbero state prese “debitamente” in considerazione, compatibilmente con la sua età e il suo grado di maturità. A questi fini si sarebbe data la possibilità al minore di essere ascoltato “in ogni procedura giudiziaria e amministrativa” che lo concernesse “sia direttamente sia tramite un rappresentante o un organo appropriato” (art. 12).

Ancora più incisiva ed impegnativa per lo Stato è la Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (ratificata dall’Italia con l. 31 dicembre 1998 n. 476), le cui disposizioni hanno avuto attuazione integrale attraverso le modifiche della legge 4 maggio 1983 n. 184, relativa all’adozione e all’affidamento familiare, nel cui corpo esse sono state integralmente riprodotte. L’art. 4 lett. d) di tale convenzione prevede espressamente il diritto di informazione dell’adottando minorenne e la necessità che siano presi in considerazione i suoi desideri e le sue opinioni.

Non meno importante è poi la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, sottoscritta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (ratificata con l. 20 marzo 2003 n. 77), i cui articoli 3 e 6 prevedono l’obbligo per il giudice di consultare personalmente il minore, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia contrario al suo stesso superiore interesse, permettendogli di esprimere la propria opinione, che va poi tenuta in debito conto.

La Convenzione di Strasburgo prescrive peraltro in maniera dettagliata i contenuti della comunicazione diretta al minore e riconosce la possibilità di chiedere egli stesso di beneficiare del diritto di ascolto (quindi un vero e proprio diritto di azione).

Nonostante che l’Italia abbia limitato, in sede di ratifica, l’effettività dei precetti della predetta convenzione (imponendone l’applicazione non in tutti i procedimenti coinvolgenti il minore ma solo ad alcune ipotesi marginali), è stata la Corte Costituzionale a ritenere che quei precetti avessero invece efficacia self executing, e fossero in grado di attribuire immediatamente la posizione di parte processuale al minore coinvolto nei procedimenti relativi al suo affidamento (cfr. Corte Cost sent. 30 gennaio 2002 n. 1, in Foro italiano, 2002, I, 3303; principio poi ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in Cass. 27 luglio 2007 n. 16573 ed infine in Cass. Sez. Unite 21 ottobre 2009 n. 22238).

Anche sede comunitaria è tutelato il diritto del minore all’ascolto, basti citare le prescrizioni di cui all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cd. Carta di Nizza del 18 dicembre 2000) ovvero le disposizioni del Regolamento CE 2201/2003 Bruxelles II bis, che ribadiscono il diritto del minore, che abbia compiuto i dodici anni ovvero di età inferiore ma capace di discernimento, ad essere ascoltato in tutte le questioni e i procedimenti che lo riguardano. Il rispetto di tale diritto è peraltro così importante che l’eventuale provvedimento assunto all’interno dello Stato membro, in violazione delle prescrizioni relative all’ascolto e alla partecipazione del minore, rischia di non trovare applicazione diretta nel territorio di altro stato membro, in virtù dell’art. 23 del citato Regolamento CE 2201/2003.

E’ stato giustamente rilevato come il concetto di “opinione” del minore, più volte richiamato nei testi internazionali citati, nel contesto normativo e processuale preso in considerazione non possa corrispondere alla sola mera rappresentazione che la persona in età evolutiva si formi in ordine a determinati fatti della vita, ma richiami piuttosto un processo complesso, dove la volontà gioca un ruolo rilevante, comportando una sorta di “assenso” all’interpretazione della realtà che altri debbano acquisire, per intervenire in un più complesso progetto di vita che coinvolga appunto il minore (M.G. Ruo, La volontà del minore: sua rappresentanza e difesa nel processo civile, in Diritto di famiglia e delle persone, 2006, p. 1360).

Questa osservazione trova riscontro, invero, nella rilevanza oggi attribuita nella prassi da molti giudici alle dichiarazioni rese dal minore in sede di ascolto e ci sembra confermata dalla sentenza in commento, che appunto ha ritenuto del tutto corretto il convincimento del giudice di merito, formatosi anche e soprattutto sulla base delle dichiarazioni del minore e sui desideri da questo manifestati in sede di ascolto.

L’ascolto del minore nei procedimenti relativi all’affidamento.

Con riguardo ai procedimenti relativi all’affidamento dei figli l’ascolto del minore, quale espressione di un suo precipuo diritto nonché adempimento essenziale per il giudice, ha trovato la sua prima concreta applicazione con la previsione di cui all’art. 155 sexies c.c., introdotto dalla legge n. 54/2006. Prima di questa norma, a livello interno, esisteva solo il timido accenno all’“audizione” del minore negli artt. 4 comma 8 e 6 comma 9 della legge n. 898/1970 sul divorzio (ritenuti applicabili anche ai procedimenti di separazione). Vi si procedeva solo ove “strettamente necessario” anche in considerazione dell’età del minore. Nei fatti sussisteva un largo pregiudizio sull’utilizzo di tale strumento da parte del giudice, vuoi per la convinzione di una certa incapacità del giudicante ad adottare delle tecniche adeguate di ascolto, vuoi perché si temevano gli effetti (ritenuti “nocivi”) che esso avrebbe provocato nel minore stesso, ed anche perché in definitiva si riteneva ex professo il minore persona sostanzialmente “inattendibile”, quasi a voler parificare l’ascolto ad una sorta di testimonianza.

L’ascolto, nella sua accezione di vero e proprio diritto del bambino, si è andato affermando più in via di fatto, nelle prassi dei giudici che hanno ritenuto (sulla scorta dell’indicazione proveniente dalla Consulta) direttamente applicabili le fonti internazionali.

All’indomani dell’entrata in vigore della legge sull’affido condiviso e dell’art. 155 sexies c.c. è mutato radicalmente l’approccio. Quest’ultima norma infatti ha chiaramente fatto obbligo al giudice di disporre l’audizione del minore ultradodicenne, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, escludendo ogni valutazione discrezionale. L’imperfetto è d’obbligo perché la citata disposizione (richiamata ratione temporis dalla sentenza in commento) è stata successivamente abrogata, mentre le disposizioni ivi contenute sono state riscritte ed integrate nel nuovo art. 337 octies c.c. (opera del Riformatore del 2012/2013).

Vigente il “vecchio” art. 155 sexies c.c. ci si era chiesti se all’obbligo di ascoltare il minore fosse tenuto anche il presidente nei procedimenti di separazione consensuale e del collegio nei divorzi a domanda congiunta, dubbio risolto in senso negativo nella maggior parte dei tribunali in via di prassi.

Il “nuovo” art. 337 octies c.c. codifica in un certo senso simile prassi laddove introduce una deroga al principio generale stabilendo che in questi casi il giudice  “non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”.

Le modalità dell’ascolto. Altri dubbi risolti dalla riforma riguardano le modalità dell’ascolto, che sono state codificate in via generale dal nuovo art. 336 bis c.c.

Occorrerà fare riferimento a quest’ultima disposizione tutte le volte in cui dovrà espletarsi tale incombente, e cioè “nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti” che riguardano il minore (come appunto previsto nell’art. 337 octies c.c. per i procedimenti separativi della coppia genitoriale).

E’ chiarito che il minore deve essere ascoltato dal Presidente del tribunale o dal giudice delegato, i quali dovranno quindi provvedervi direttamente, al più avvalendosi “di esperti o altri ausiliari”, ma escludendosi in radice che esso possa essere “surrogato” da equivalenti “interpelli” acquisiti in altre sedi.

E’ significativa in proposito la sentenza Cass. 15 maggio 2013 n. 11687 (in Diritto di famiglia e delle persone, 2013, p. 1340 con nota di Savi), che traccia una specie di decalogo essenziale delle modalità con cui può essere correttamente espletato l’incombente e che ha dichiarato la nullità della sentenza – assorbibile tra i motivi di gravame – in una fattispecie dove l’ascolto del minore era stato effettuato dai Servizi Sociali “senza una specifica, esplicita, dettagliata delega del giudice calibrata sulla maturità, sulle esigenze del minore e su ogni altra circostanza del singolo caso concreto”.

Altro nodo importante, risolto dal chiaro disposto dell’art. 337 bis c.c., è la partecipazione all’espletamento dell’ascolto (che è chiaramente un atto processuale) delle altre parti, quali i genitori, i difensori, il curatore speciale e persino il pubblico ministero. Al giudice è infatti concesso un ampio potere discrezionale nell’autorizzare o meno detta partecipazione, senza predeterminazione delle ragioni che possano orientare l’opzione ma prevedendosi la possibilità per dette parti di “proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento”.

La disposizione unifica le diverse prassi, precedentemente attuate nei tribunali anche in base a protocolli di intesa siglati tra magistratura e avvocatura, prassi che registravano un punto di debolezza proprio nella ricerca di una soluzione che contemperasse il diritto del minore ad essere ascoltato - libero da condizionamenti e disagi - con le garanzie processuali delle parti.

E’ comunque previsto un verbale dell’incombente, in cui dovrebbe essere descritto anche il “contegno” del minore, salvo che ne sia disposta la registrazione audio-video, ipotesi quest’ultima alquanto rara nei procedimenti civili, stante l’insufficienza di aule dedicate e di attrezzature, l’elevato numero di procedimenti (specialmente in tribunali come quelli di Roma o di Milano), la conseguente contrazione dei tempi assegnabili ad ognuno di essi, l’assenza di personale tecnico addetto alle apparecchiature ecc.

Importante adempimento a carico del giudice, da compiersi “prima” di procedere all’ascolto, è quello relativo all’informazione che egli deve rendere al minore, circa la natura del procedimento e gli effetti che potranno avere le sue dichiarazioni.

Si tratta all’evidenza di un compito da affrontare con un approccio decisamente diverso rispetto a quello tradizionale, previa attivazione di quelli che taluno ha definito “gli alfabeti della comunicazione con il bambino” (Pazè, I provvedimenti giurisdizionali per il minore nella crisi della famiglia e nella crisi del rapporto genitore-prole, nonché Pricoco, Sull’ascolto del minore, entrambi in www.minoriefamiglia.it).

L’ascolto come diritto del minore e come strumento processuale. Mentre prima della legge sull’affido condiviso si poteva dubitare della sussistenza in capo al minore di un vero e proprio “diritto” all’ascolto (autorevolmente sostenendosi che l’audizione del minore prevista dalla Convenzione di N.Y. fosse una “mera facoltà” – Tommaseo) oggi non è indubbio che si tratti di una situazione giuridica soggettiva, inquadrabile nel novero dei diritti fondamentali della persona umana minore di età.

Ciò è ricavabile da una serie di riferimenti normativi nonché dai meccanismi di tutela predisposti dall’ordinamento internazionale ed interno (cfr. le acute osservazioni di Ballarani, Contenuto e limiti del diritto all’ascolto nel nuovo art. 336-bis c.c.: il Legislatore riconosce il diritto del minore a non essere ascoltato, in Diritto di famiglia e delle persone, 2014, pag. 841, che ne ha giustamente messo in rilievo anche il contenuto “in negativo”).

La minore età diviene anzi ragione di attivazione di un surplus di tutela, che si manifesta in particolar modo nel bilanciamento dei poteri sostanziali e processuali degli adulti - talvolta affievoliti nel “superiore interesse del minore”, come abbiamo visto sopra riguardo alla partecipazione delle parti all’incombente dell’ascolto - e che giustifica i particolari effetti attribuiti in sede processuale alle dichiarazioni del minore e al mancato rispetto del suo diritto di essere ascoltato.

La sentenza n. 2770/2017 esprime chiaramente questo nuovo inquadramento, definendo l’ascolto del minore “modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano” nonché “elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse”.

L’ascolto non è dunque un “mezzo di prova” ma un “adempimento essenziale” (stante l’irrinunciabilità e l’inviolabilità dei diritti della persona), che può essere utilizzato anche al fine di acquisire “elementi di decisione”. La sua omissione deve essere espressamente motivata (art. 336 bis comma 1 e 337 octies comma 1 c.c.). Deve infine essere “effettivamente” espletato dal giudice - previa idonea informativa da dare al minore - non essendo sufficiente l’ascolto de relatu o per surrogazione, effettuato da soggetti che non rivestano la qualifica di ausiliari e/o di delegati qualificati del giudice. L’ascolto omesso, o effettuato in spregio delle modalità previste per legge, può condurre alla nullità della sentenza, rilevabile come motivo di impugnazione (cfr. Cass. n. 11687/2013 citata).

Conclusioni. La sentenza n. 2770/2017 conferma l’approdo della giurisprudenza di legittimità ad una visione dei diritti della persona minorenne non più confinata nell’ambito dell’interesse legittimo - cui si attaglia un giurisdicere di tipo volontario - bensì oggetto di tutela giurisdizionale vera e propria.

Ciò non deve però comportare una pericolosa deriva verso l’acritica acquisizione dei desiderata del minore, non supportando la decisione da elementi emersi in sede di un’idonea istruttoria, espletata anche facendo ricorso ai poteri ex officio di cui è senz’altro dotato il giudice in questa materia.

Non sarebbe peraltro conforme all’ascolto, disciplinato così attentamente dal legislatore delegato, quello effettuato limitandosi a porre al minore l’unica domanda che a un bambino non va invece fatta, e cioè con quale dei genitori egli voglia vivere.

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