Pubblicato: 14 Dicembre 2018 - Categoria: Giurisprudenza

E’ escluso dalla comunione legale dei beni, ex art. 179 comma 1 lett. b) cod. civ., l’immobile acquistato dal figlio con il denaro fornito dai genitori.

Questo il principio riaffermato dalla Cassazione nell’ordinanza dell’11 dicembre 2018 n. 31978 che, qualificando come “donazione indiretta” dell’immobile l’attribuzione effettuata a favore del figlio, ha fatto applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità che esclude dal regime della comunione legale dei beni sia le donazioni dirette che quelle “indirette”, effettuate mediante uno o più negozi tipici finalizzati ad attuare una liberalità.

Il fatto. Due genitori mettono a disposizione del figlio il denaro per comprare e ristrutturare un immobile, acquistato nell’ambito di una procedura esecutiva. Successivamente il coniuge del figlio, ormai separatosi giudizialmente, chiede al Tribunale la divisione pro quota dell’immobile, sull’assunto che il bene in contestazione era entrato nella comunione legale dei beni in quanto acquistato in costanza di matrimonio.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello in sede di impugnazione danno ragione al coniuge rivendicante la propria quota, ritenendo che l’acquisto in comunione legale si sarebbe potuto evitare solo mediante una specifica manifestazione di volontà del coniuge rinunciante, da formulare obbligatoriamente nell’atto di acquisto del bene, ex art. 179 comma 2 cod. civ.

In questo modo i giudici lasciavano intendere (come puntualmente evidenziato dalle parti ricorrenti nel giudizio di Cassazione) di ritenere esclusa la riconducibilità della fattispecie ad un’ipotesi di acquisto per donazione, regolato dall’art. 179 comma 1 lett. b) cod. civ. in forza del quale sono esclusi dalla comunione legale gli acquisti a tale titolo compiuti da uno dei coniugi, inquadrando senz’altro l’operazione negoziale nell’ambito del comma 2 del medesimo articolo, che disciplina appunto altri acquisti.

La Cassazione non è però dello stesso avviso e con l’ordinanza in esame cassa con rinvio la decisione della Corte d’Appello enunciando il principio di diritto sopra richiamato.

Le donazioni indirette. Nel nostro sistema è consentito compiere donazioni o, più in generale, liberalità indirette, ponendo in essere uno o più negozi giuridici diversi dalla donazione tipica, regolata dall’art. 769 cod. civ, ma che come questa perseguono lo stesso fine, vale a dire determinare l’arricchimento del patrimonio di un soggetto per spirito di liberalità.

A tal fine l’art. 809 cod. civ. stabilisce che “le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza dei figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari

La norma, quindi, estende parte della disciplina stabilita per la donazione tipica (non estende, ad esempio, la norma sulla forma pubblica dell’atto ricevuto alla presenza dei testimoni) anche alle liberalità poste in essere con atti diversi, per quanto poi non individui quali siano questi ultimi.

L’opinione prevalente ritiene che nella donazione indiretta sia presente il collegamento di due negozi diversi, il negozio-mezzo ed il negozio-fine. Il primo produce gli effetti suoi propri per conseguire il risultato “ulteriore” (indiretto, appunto) voluto dalle parti che è invece connesso al negozio-fine, con il quale si realizza tale ulteriore scopo voluto dai contraenti.

A questo proposito, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, la donazione indiretta “si concreta in un complesso procedimento mediante il quale, per mezzo di atti diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c., ciascuno dei quali produce l'effetto diretto ad esso connaturato, per spirito di liberalità viene (in modo indiretto) arricchito un soggetto: essa, cioè, si concreta nell'elargizione di una liberalità attuata, anziché con il negozio tipico dell'art. 769 citato, mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l'effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l'arricchimento "animo donandi" del destinatario della liberalità medesima”.

Per negare la ricorrenza di una donazione indiretta, pertanto, non è sufficiente limitare l’indagine al negozio-mezzo produttivo dei suoi effetti normali, ma diviene decisiva la prova – che nel caso di specie spetta al coniuge che ha interesse a dimostrare la sussistenza di uno degli elementi della donazione indiretta dell'immobile da lui ricevuto - della sussistenza del negozio-fine, poiché la donazione indiretta altro non è che la risultante della combinazione di tali negozi. L'esame del giudice di merito, quindi, dovrà avere ad oggetto non solo l'acquisto immobiliare (già provato con la produzione dell'atto pubblico), ma anche e soprattutto le “circostanze di fatto” attraverso le quali questo negozio-fine può dirsi esistente.

L’attività interpretativa che dovrebbe portare ad individuare la donazione indiretta potrebbe presentarsi in concreto molto complessa. Sia perché la donazione indiretta non necessariamente deve articolarsi in una sequenza di attività tipiche da parte del donante, e quindi potrebbero risultare numerose ed eterogenee le combinazioni negoziali da esaminare; ma anche perché il nostro sistema conosce un’estrema varietà di tipi negoziali impiegabili dalle parti per far loro conseguire un risultato economico ulteriore e indiretto.

A titolo meramente esemplificativo possono ricordarsi l’intestazione di beni a nome altrui; la contrattazione a favore di terzi (art. 1411 cod. civ.); l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo (art. 1920 cod. civ.); la rendita vitalizia (art. 1872 cod. civ.); il modus (art. 793 cod. civ.); la delegazione (art. 1268 cod. civ.), l’espromissione (art. 1272 cod. civ.) e l’accollo (art. 1273 cod. civ.); l’adempimento del terzo (art. 1180 cod. civ.); la remissione del debito (art. 1236 cod. civ.).

L’intestazione dei beni a nome altrui. Con l’espressione “intestazione di beni a nome altrui” si indica una varietà di ipotesi, normalmente riconducibile al cumulo di un contratto a titolo oneroso e di una liberalità, secondo uno schema che ricorre frequentemente tra genitori e figli, quando il primo fornisce il denaro per l’acquisto di un bene immobile che verrà poi intestato al secondo.

Generalmente gli schemi, spesso arricchiti da varianti, sono i seguenti:

- il figlio stipula il contratto di compravendita pagando il bene acquistato con il denaro precedentemente ricevuto in donazione dal padre;

- il figlio stipula il contratto di compravendita, mentre il genitore interviene in atto pagando il prezzo direttamente al venditore;

- il genitore stipula una compravendita a favore del figlio (art. 1411 cod. civ.) pagando il prezzo al venditore;

- il genitore stipula una compravendita in nome e per conto del figlio, estinguendo il debito del figlio verso il venditore pagando direttamente il prezzo.

L’indagine su tali operazioni, tutte accomunate dal fine ultimo del genitore di procurare l’acquisto del bene in capo al figlio, è stata spesso compiuta dalla giurisprudenza e dalla dottrina per stabilire quale disciplina applicare in concreto ai negozi, per comprendere – in ultima analisi - se oggetto della liberalità compiuta dal padre a favore del figlio sia il denaro uscito dal patrimonio del primo o il bene entrato nel patrimonio del secondo.

Tale attività ermeneutica è stata compiuta prevalentemente a fini successori, per stabilire se - a seguito dell’apertura della successione del genitore che ha effettuato la liberalità – l’entità da considerare quale oggetto della collazione (art. 737 cod. civ.), della riunione fittizia (art. 556 cod. civ.) e della imputazione ex se (art. 564 cod. civ.) sia il bene acquistato o il denaro impiegato per l’acquisto (e la differenza, come è agevole comprendere, potrebbe non essere irrilevante, soprattutto quando all’acquisto del bene si sia provveduto a notevole distanza di tempo).

Il dibattito su tale questione, avviatosi fin dagli anni 60 del secolo scorso, aveva inizialmente portato la giurisprudenza a ritenere che ciò che si doveva considerare oggetto della liberalità era il denaro uscito dal patrimonio del donante e non il bene donato (Cass. 7 dicembre 1962 n. 3299 in Giurisprudenza italiana, 1963, 1, 212), sicché il donatario era tenuto a portare in collazione il denaro ricevuto dal genitore (debito di valuta). Successivamente la Cassazione aveva mutato orientamento e, abbandonato il principio per cui l’oggetto delle liberalità fosse ciò che era uscito dal patrimonio del donante, aveva chiarito che un conto è l’arricchimento, che corrisponde ad una nozione economica, ed un altro è il trasferimento, che è un concetto giuridico (Cass. 31 gennaio 1989 n. 596 in Giust. Civ., 1989, 1098).

I differenti orientamenti vennero composti dalle Sezioni Unite della Cassazione che, mettendo in risalto i profili sostanziali della complessa vicenda negoziale, diedero risalto allo scopo finale avuto di mira dal disponente, consistente nell’arricchimento del beneficiario determinato dall’ingresso del bene nel patrimonio di quest’ultimo.

Le Sezioni Unite sancirono quindi che “nella ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad un altro soggetto, che il disponente ha inteso in tal modo beneficiare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l'attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del denaro ma dell'immobile, poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest'ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario” (Cass. Sez. Un. 5 agosto 1992 n. 9282, in Giustizia civile, 1992, I, 2991, con nota F. Azzariti, Somma erogata per l’acquisto di un immobile intestato a soggetto diverso dall’acquirente e collazione; in Foro italiano, 1993, I, 1544, con nota C. De Lorenzo, Intestazione del bene in nome altrui e collazione: il nuovo corso della Cassazione si consolida; in Vita notarile, 1993, 261; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 373, con nota F. Regine, Intestazione di beni immobili a nome altrui e donazione indiretta; in Rass. dir. civ., 1994, 613, con nota V.M. Cesaro, Acquisto di immobile con denaro fornito dal genitore e donazione indiretta).

L’opinione giurisprudenziale ormai consolidata (richiamata anche dall’ordinanza in esame), è quella attestata sul principio enunciato dalle Sezioni Unite, e cioè quello secondo cui «nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tal caso, il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto» (Cass., 2 settembre 2014 n. 18541, in Giust. civ. Mass., 2014. Più di recente, Cass., 4 settembre 2015, n. 17604, in Giust. civ. Mass. 2015; Cass., 30 maggio 2014, n. 11035, in Riv. not., 2015, 137 ss., con nota di A. Torroni, Liberalità indiretta non negoziale e collazione: l’accessione non impedisce la collazione del valore dell’immobile; Cass., 6 novembre 2008, n. 26746, in Fam. pers. e succ., 2009, 410.)

Recentemente la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19337 del 24 luglio 2018 (reperibile su il caso.it), sembra affermare un principio solo apparentemente diverso da quello fin qui ricordato. In realtà, da quanto è dato evincere dal provvedimento, nel caso di specie si era esclusa la ricorrenza di una donazione indiretta dell’immobile poiché ciò che aveva costituito oggetto di donazione dai genitori al figlio era consistito in una somma di denaro. Solo successivamente esso era stato impiegato dal figlio – coniugato in regime di comunione legale dei beni - per l’acquisto di un immobile. La fattispecie decisa non riguardava pertanto la donazione dell’immobile, che era dunque caduto in comunione legale per effetto dell’acquisto compiuto dal figlio (seppur con il denaro precedentemente ricevuto in donazione) in costanza di matrimonio.

Il bene ricevuto per “donazione indiretta” escluso dalla comunione legale dei beni.

Stabilito che il bene acquistato dal figlio gli è pervenuto per “donazione indiretta”, la Corte non ha fatto altro che applicare l’altro consolidato principio (Cass. 5 giugno 2013 n. 14197 in Riv. not., 2015, 130 ss.; Cass. 14 dicembre 2000 n. 15778, in Giust. civ. 2001 n. 335; Cass. 15 novembre 1997 n. 11327, in Foro, it., 1999, 1, 994) che accomuna, ai fini dell’esclusione dal regime della comunione legale dei beni, sia le donazioni dirette che quelle indirette.

Le pronunce appena richiamate affermano che nell’ipotesi in cui un soggetto abbia fornito il danaro quale mezzo per l'acquisto dell'immobile in capo al figlio, il collegamento tra l'elargizione del danaro paterno e l'acquisto del bene immobile da parte del figlio conduce a concludere che si sia in presenza di una donazione indiretta dell'immobile stesso. In tale ipotesi, pertanto, il bene acquisito dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale è ricompreso tra quelli esclusi da detto regime, giusto il disposto dell'art. 179 comma 1 lett. b) cod. civ., senza che sia necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo con l'arricchimento di uno dei coniugi per spirito di liberalità.

La giurisprudenza (Cass. n. 15778/2000 citata) ha puntualmente evidenziato le ragioni che spiegano perché le donazioni indirette debbano essere accomunate a quelle dirette, ai fini dell’esclusione dal regime di comunione legale dei beni.

In primo luogo perché la formulazione letterale dell’art. 179 comma 1 lett. b) cod. civ. fa riferimento agli “atti di liberalità”, cioè a quegli stessi atti fra i quali l'art. 809 cod. civ. comprende le donazioni diverse da quelle di cui all'art. 769, assoggettandoli sotto diversi profili alla disciplina di queste ultime.

L’art. 179 comma 1 lett. b) cod. civ. precisa poi, nella parte conclusiva, che occorre un’espressa dichiarazione del donante (come avviene anche per il testatore), perché si verifichi l'attribuzione alla comunione legale del bene e ciò perché l'inclusione tout court del bene donato tra quelli personali trova fondamento nel rispetto della volontà dello stesso disponente e nel carattere strettamente personale dell'attribuzione fatta ad uno solo dei coniugi. Sotto il profilo letterale, inoltre, l'eccezione prevista nella parte finale della norma si riferisce “all'atto di liberalità”, ossia a concetto più ampio di quello di donazione in senso stretto, e sarebbe illogico ritenere che all'eccezione sia attribuito un ambito di applicazione più ampio di quello della regola (ossia che l’esclusione del bene dalla comunione legale discenda solo quando sia oggetto di una donazione tipica).

Depone infine per la comunanza di effetti delle donazioni dirette rispetto a quelle indirette, ai fini della comunione legale, l'insussistenza di precise ragioni, anche di ordine sistematico, che possano escluderla nonché la “ratio” della disciplina della comunione legale dei beni, che è quella di rendere comuni i beni alla cui acquisizione entrambi i coniugi abbiano contribuito. Sarebbe perciò iniquo (e, va precisato, contrario allo stesso principio informatore della comunione legale) ricomprendervi le liberalità a favore di uno solo dei coniugi, trattandosi di acquisti per i quali nessun apporto è stato sicuramente dato dall'altro coniuge.

Occorrerà quindi tenere bene in conto le circostanze di fatto e l’eventuale collegamento negoziale posto in essere con l’operazione che ha condotto all’arricchimento del coniuge ad opera dei suoi più stretti congiunti. Ciò per non avventurarsi senza la dovuta ponderazione nella complessa azione di rivendica della quota di proprietà del bene, asseritamente entrato a far parte della comunione legale sol perché “acquistato” in costanza di matrimonio.

L'ordinanza n. 31978 del 11 dicembre 2018 è reperibile al seguente link previo accesso con credenziali 

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