Pubblicato: 12 Giugno 2017 - Categoria: Giurisprudenza

La Corte di Appello di Trieste, con un’ordinanza del 30 maggio 2017, ha riformato il decreto del 17 marzo 2017 con cui il Tribunale di Pordenone, in composizione collegiale, aveva ammesso la trascrivibilità degli accordi di negoziazione assistita in materia familiare contenenti trasferimenti immobiliari, a prescindere dall’autenticazione notarile richiesta in via generale dall’art. 5 comma 3 del d.l. 132/2014 (l. 162/2014). 

Il Tribunale di Pordenone aveva ordinato al Conservatore (oggi Dirigente dell’Agenzia del Territorio) la trascrizione dell’accordo partendo da un assunto di fondo e cioè che l’accordo negoziato, munito delle autentiche degli avvocati e del nulla osta del PM, fosse equiparabile in tutto e per tutto agli analoghi provvedimenti giudiziali pronunciati in sede di separazione, divorzio o modifiche, e ciò anche ai fini della trascrizione nei registri immobiliari (a mente dell’art. 2657 c.c. che individua tassativamente quali titoli per la trascrizione le sentenze, gli atti pubblici o le scritture private con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente).

L’art. 6 comma 3 del dl. 132/2014 dispone infatti che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione di negoziazione assistita “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono (…) i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. D’altronde, affermava il Tribunale di Pordenone, neppure quei provvedimenti giudiziali richiedono l’autenticazione del notaio e affermare l’equiparabilità tout court degli accordi negoziati agli analoghi provvedimenti giudiziali, anche ai fini della loro trascrivibilità, corrisponde ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della complessiva disciplina in tema di negoziazione assistita familiare, mentre un diverso orientamento si porrebbe in contrasto con i canoni costituzionali di coerenza e ragionevolezza.

Il ragionamento dei giudici di prime cure potrebbe schematizzarsi semplicisticamente nel seguente sillogismo: ai sensi dell’art. 2657 c.c. sono trascrivibili senza bisogno di autentica le sentenze; poiché gli accordi di negoziazione sono “equiparati” a tutti gli effetti alle sentenze, ergo questi ultimi sono trascrivibili senza autentica al pari delle sentenze.

La Corte di Appello di Trieste non è dello stesso avviso e, pronunciandosi sul reclamo dell’Agenzia del Territorio, ritiene che quello del Tribunale di Pordenone sia in realtà un “erroneo sillogismo”. Afferma anzi che sono proprio le norme del d.l. 132/2014, in combinato disposto con quelle codicistiche in tema di trascrivibilità degli atti (segnatamente gli artt. 2567 e 2703 c.c.) che rendono “non convincente” il ragionamento seguito dai giudici di prime cure.

Sostiene in pratica la Corte che la negoziazione in materia familiare, di cui all’art. 6 d.l. 132/2014, non è altro che una specie della più generale negoziazione di cui all’art. 2 e quindi opera anche per essa la disposizione di portata generale di cui all’art. 5 comma 3, che richiede l’autentica notarile per gli atti negoziali soggetti a trascrizione.

Rilevando poi che il tribunale a quo non si era affatto posto il problema se l’autentica degli avvocati fosse o meno equiparabile a quella notarile, la Corte affronta direttamente questo argomento affermando che la certificazione degli avvocati prevista nell’art. 6 ha l’unico fine di consentire la successiva trasmissione dell’accordo all’ufficiale dello stato civile, per le trascrizioni del caso mentre va escluso che analogo potere certificativo possa essere riconosciuto ai difensori ai fini delle trascrizioni immobiliari.

L’art. 5 quindi (che richiede appunto l’autentica notarile per quegli accordi che vadano ad incidere sui diritti reali immobiliari) ha portata generale.

Con riferimento al disposto secondo cui l’accordo produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti, occorre distinguere tra “effetti” e “forma degli atti ai fini della trascrizione”.

L’art. 2657 c.c. è norma che tutela interessi pubblicistici e della collettivita’ e non può essere derogato da una norma di portata dubbia qual è l’art. 6 del d.l. 132/2014, non in grado neppure di incidere sul chiaro disposto dell’art. 2703 c.c. secondo cui l’autenticazione consiste nell’”attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza”.

In sostanza l’art. 6 non è norma sufficientemente puntuale perché si possa derogare a tali principi di carattere pubblicistico fondamentali del nostro ordinamento. Il sistema della pubblicità immobiliare esige, secondo la Corte, il necessario controllo pubblico, che è riservato al giudice (attraverso la sentenza) o al notaio (attraverso l’autentica). Tale sistema pertanto “non può consentire a soggetti privati” di certificare con la propria sottoscrizione “atti che poi devono trovare ingresso nel complesso sistema delle trascrizioni e delle intavolazioni”, essendo tale sistema “diretto a garantire la certezza dei diritti”.

In tale contesto è perciò fondamentale il requisito della “terzietà” del soggetto abilitato a consentire tale ingresso, che ovviamente manca agli avvocati, legati come essi sono dal rapporto professionale alle parti che essi assistono.

I poteri certificativi degli avvocati, afferma ancora la Corte di Trieste, sono di natura speciale e non generale, confinati all’interno del processo telematico (cfr. ad es. art. 16 bis del D.L. 179/2012). Per poter invece “autenticare” gli atti privati destinati ai pubblici registri immobiliari occorre invece una norma che conferisca espressamente questo potere.

E’ invero corollario di questo limite al potere certificativo degli avvocati la circostanza che essi possano sì attestare la conformità delle sentenze o degli atti estratti dai fascicoli telematici in cui hanno svolto il patrocinio ma non possano anche rilasciarne le copie in forma esecutiva, potere questo riservato espressamente ad un’altra figura pubblica qual è il cancelliere.

L’accordo di negoziazione, si legge sempre nell’ordinanza, è nella sostanza equiparabile a un negozio transattivo di natura privata e tale resta anche dopo aver ricevuto il nulla osta o l’autorizzazione del PM. L’intervento del PM non è in grado infatti né di sostituire l’autentica notarile, trattandosi di un controllo successivo, né di conferire all’accordo natura di sentenza.

Per meglio argomentare la posizione dell’ordinamento rispetto a questa problematica è interessante il richiamo che l’ordinanza fa all’unico “tentativo legislativo” di attribuire agli avvocati un potere di autentica per gli atti di trasferimento immobiliari (cessioni o addirittura donazioni) attraverso il d.d.l. concorrenza del 2015, limitandolo alla negoziazione di beni immobili adibiti ad uso non abitativo con valore catastale non superiore a 100.000 euro. Tale progetto non ebbe infatti il vaglio del parlamento deludendo le aspettative degli avvocati (che fino a quel momento avevano “conquistato” grandi spazi con l’avvio del PCT, con gli accordi di mediazione civile e commerciale ed infine con la negoziazione assistita).

Tutto ruota pertanto, secondo la Corte di Trieste, sulla norma generale di cui all’art. 5 comma 3 e le parti assistite dagli avvocati non possono superare la barriera protettiva dei registri immobiliari senza ricorrere al notaio.

La riserva per i notai del potere di autentica degli atti che devono essere immessi nel circuito dei registri immobiliari non è neppure contraria, sostiene la Corte, alla direttiva (77/249) in tema di libera prestazione di servizi da parte degli avvocati appartenenti agli Stati membri dell’Unione Europea.

Si tratta di un profilo che non era stato sollevato dalla difesa dei coniugi stipulanti la negoziazione ma che i giudici di merito ritengono opportuno mettere in luce, forse per prevenire eventuali iniziative impugnatorie fondate sulla violazione delle norme comunitarie.

Il collegio triestino evoca in proposito una recente sentenza della Corte di Giustizia U.E. (del 9.3.2017) che ha ritenuto non contrastante con la sopracitata direttiva la normativa di uno stato membro che riservi ai notai l’autenticazione delle firme apposte in calce ai documenti necessari per la costituzione o per il trasferimento di diritti reali immobiliari (e quindi parallelamente non consenta tale autenticazione ad altri avvocati provenienti da Stati membri e stabiliti nello Stato che pratica la restrizione).

La norma di cui all’art. 5 D.L. 132/2014 è quindi del tutto compatibile con la normativa europea.

A questo punto occorre chiedersi cosa accadrà se si dovessero moltiplicare i provvedimenti “dissezienti” (sulla scia del Tribunale di Pordenone e di Roma), di fronte ad altri Tribunali che invece già da tempo avevano assunto posizioni analoghe a quelle della Corte di merito (cfr. Trib. Catania ord. 24.11.2015; Trib. Napoli decr. 29.012016; Trib. Genova decr. 8.4.2016).

Va ricordato che è opinione consolidata in giurisprudenza quella secondo cui i provvedimenti emessi in sede di reclamo avverso il rifiuto del conservatore sono di volontaria giurisdizione, non hanno natura contenziosa e quindi non risolvono un conflitto tra posizioni di diritto. In essi pertanto, ricorda la Corte, non è ravvisabile “una parte vittoriosa o soccombente”.

Questa affermazione finale è importante anche per capire se sarà possibile un approdo della vexata quaestio in Cassazione ed una decisione nomofilattica. Trattandosi infatti di provvedimenti di volontaria giurisdizione che non “decidono” su diritti (non sono contenziosi nel vero significato del termine) appare alquanto improbabile il superamento della barriera di inammissibilità da sempre affermata per questo tipo di provvedimenti (cfr. da ultimo C. Cass. sent. 8.5.2017 n. 11172 che ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso un decreto pronunciato in sede di reclamo dalla Corte di Appello in tema di revoca dell’amministratore di cosa comune). Salvo che la Corte di Cassazione non ritenga di trovarsi – anche per quelle esigenze nomofilattiche sopra evidenziate - in uno di quei casi in cui sia possibile enunciare ugualmente il principio di diritto, cui “finalmente” sarà possibile appellarsi.

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