Pubblicato: 14 Ottobre 2016 - Categoria: Legislazione

L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, con 83 voti contrari 77 favorevoli e 7 astenuti, ha bocciato l’11 ottobre scorso il rapporto sulla maternità surrogata, presentato dalla ginecologa belga Petra De Sutter. Per essere approvata la proposta avrebbe dovuto raccogliere il voto favorevole dei due terzi dei votanti.

Sembra così definitivamente tramontata la possibilità di una regolamentazione a livello europeo della discussa pratica dell’utero in affitto e dei diritti dei bambini nati attraverso il ricorso a simile pratica procreativa.

Per surrogazione di maternità o maternità surrogata (o gestazione per altri) si intende la pratica con la quale una donna assume l'obbligo di provvedere alla gestazione e al parto per conto di altra persona o di una coppia sterile, alla quale si impegna di consegnare il nascituro.

La giurisprudenza italiana è stata finora abbastanza rigida nel legittimare la maternità surrogata, affermando la contrarietà della stessa con l’ordine pubblico.

Al minore nato all’estero da madre surrogata e condotto in patria dai genitori italiani “committenti” non può essere riconosciuto lo status di figlio legittimo della coppia, ostandovi il divieto interno di tale pratica procreativa, cui va riconosciuta la natura di principio di ordine pubblico. Questi sono ad esempio i principi affermati nella sentenza n. 24001 dell’11 novembre 2014 con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore ai sensi dell’art. 8 L. 184/1983 ed il suo conseguente collocamento presso una coppia scelta tra quelle in lista per l’adozione nazionale (la sentenza è pubblicata in Guida al diritto n.2/2015, p. 34 con nota di M. Fiorini).

Con una recente sentenza (Cassazione civile, sez. I, 30/09/2016 n. 19599) la Corte di legittimità ha però corretto il tiro, in considerazione del diritto al riconoscimento dello status del figlio nato a seguito di simili pratiche procreative, affermando che “non contrasta con l'ordine pubblico e, dunque, può essere trascritto in Italia l'atto di nascita formato all'estero in cui un bambino è registrato come figlio di due madri (colei che lo ha partorito e quella che ha donato l'ovulo, fecondato con seme di uomo anonimo)”.

In quest’ultima sentenza la Corte ha tenuto a precisare che “il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia di un atto straniero, validamente formato in Spagna, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne - in particolare, da una donna italiana (indicata come madre B) che ha donato l'ovulo ad una donna spagnola (indicata come madre A) che l'ha partorito, nell'ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel paese - non contrastano con l'ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi di una simile fattispecie sul territorio italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell'interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all'estero”.

Nel caso esaminato, peraltro, la Corte ha chiarito che la fattispecie nella quale una donna doni l'ovulo alla propria partner (con la quale, nella specie, è coniugata) la quale partorisca, utilizzando un gamete maschile donato da un terzo ignoto, non costituisce un'ipotesi di maternità surrogata o di surrogazione di maternità, ma un'ipotesi di genitorialità realizzata all'interno della coppia, assimilabile alla fecondazione eterologa, dalla quale si distingue per essere il feto legato biologicamente ad entrambe le donne registrate come madri in Spagna (per averlo l'una partorito e per avere l'altra trasmesso il patrimonio genetico).

L'elemento fondamentale che il giudice deve valutare è dunque quello dell'interesse del minore, la cui identità personale verrebbe lesa ove non fosse dichiarato il vincolo di genitorialità con la madre genetica.

Ricorda in particolare la nostra Corte di legittimità che, nonostante l’ampio margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati nelle materie eticamente sensibili, la stessa Corte di Strasburgo ha ritenuto che, quando sono in gioco aspetti importanti dell'esistenza o dell'identità degli individui, detto spazio di autodeterminazione è destinato a restringersi (cfr. caso Mennesson c. Francia del 2014, p. 77 e 80) e che, in ogni caso, "il riferimento all'ordine pubblico non può essere preso come una carta bianca che giustifichi qualsiasi misura, in quanto l'obbligo di tenere in considerazione l'interesse superiore del minore incombe allo Stato indipendentemente dalla natura del legame genitoriale, genetico o di altro tipo" (cfr. sentenza 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia, p. 80).

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