Pubblicato: 04 Novembre 2016 - Categoria: Giurisprudenza

Con la sentenza n. 4478/2016, pubblicata il 26.10.2016, il Consiglio di Stato ha stabilito che i coniugi (che si separano, divorziano e/o modificano le condizioni di separazione o di divorzio dinanzi al sindaco quale ufficiale dello stato civile, attraverso la procedura disciplinata dall’art. 12 del d.l. 132/2014 convertito in legge n. 162/2014) possono inserire nel loro accordo la clausola relativa alla corresponsione di un assegno periodico a carico di uno e a favore dell’altro. Non rientra infatti questa clausola tra i “patti di trasferimento patrimoniale” espressamente esclusi dal comma 3 dell’art. 12 predetto.

Al procedimento previsto dall’art. 12 citato possono accedere solo i coniugi che non hanno figli minorenni, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, ovvero economicamente non autosufficienti. Essi possono conseguire il mutamento dello status attraverso una dichiarazione congiunta resa personalmente dinanzi all’ufficiale dello stato civile, purché la confermino dopo che siano trascorsi almeno trenta giorni dalla prima dichiarazione. Con tale procedura i coniugi possono anche modificare le condizioni della separazione o del divorzio pregressi ed in tal caso conseguono immediatamente l’effetto, non essendo necessaria una loro successiva conferma.

In pratica le parti manifestano la volontà di separarsi, di divorziare, di far cessare gli effetti civili del matrimonio ovvero di modificare il loro precedente assetto, sulla base di “condizioni” tra loro concordate. L’ufficiale dello stato civile acquisisce le dichiarazioni e l’accordo ed invita le parti a comparire nuovamente davanti a sé (non prima di trenta giorni) per confermare la loro volontà (ciò come detto non vale per le modifiche). Se segue la conferma, l’accordo raggiunto “tiene luogo” (e cioè ha gli stessi effetti giuridici) del provvedimento giudiziale che definisce i procedimenti di separazione, di divorzio, di cessazione degli effetti civili del matrimonio (e di modifica di precedenti condizioni). L’assistenza dell’avvocato qui non è obbligatoria ma solo facoltativa.

All’indomani dell’entrata in vigore del d.l. 132/2014 erano sorti grossi dubbi sull’utilizzabilità di tale procedura allorché le parti intendessero regolare per suo mezzo anche le condizioni “patrimoniali” del loro futuro status, stante il sibillino divieto di “patti di trasferimento patrimoniale” statuito al comma 3 dell’art. 12.

Si erano andate affermando due tesi: l’una sosteneva che la norma fosse diretta ad impedire soltanto i trasferimenti di beni una tantum (per i quali l’art. 5, comma ottavo, della l. n. 898 del 1970 prevede un’apposita valutazione di equità da parte del giudice); l’altra ampliava invece l’area del divieto a tutti gli accordi economici, anche quelli che prevedano la corresponsione periodica di danaro mediante un assegno per il mantenimento del coniuge più debole. Lo stesso Ministero dell’Interno, dopo avere inizialmente condiviso tale secondo indirizzo interpretativo (con le circolari n. 16 del 1° ottobre 2014 e n. 19 del 28 novembre 2014) aveva cambiato opinione con la successiva circolare n. 6 del 24 aprile 2015, lasciando via libera ai patti economici relativi agli assegni periodici di mantenimento o divorzili.

Quest’ultima circolare era stata fatta oggetto di ricorso al TAR da parte di due associazioni (AIAF e DONNA CHIAMA DONNA onlus), che con sentenza n. 7813/2016 ne aveva disposto l’annullamento.

Decidendo sull’appello proposto dal Ministero dell’Interno e dal Ministero della Giustizia, il Consiglio di Stato ha integralmente riformato la sentenza del TAR, confermando in pratica la legittimità della circolare interpretativa n. 6/15 del Ministero dell’Interno. Ha cioè ritenuto che l’espressione «patti di trasferimento patrimoniale» – per quanto perfettibile sul piano tecnico – si riferisca letteralmente “agli accordi traslativi della proprietà (o di altri diritti) con i quali i coniugi decidono, mediante il c.d. assegno una tantum (…), di regolare l’assetto dei propri rapporti economici «una volta per tutte» e di trasferire la proprietà o la titolarità di altri diritti sui beni da uno all’altro, anziché prevedere la corresponsione di un assegno periodico”.

La disposizione anzi si riferisce propriamente ai «contratti con effetti reali» che, ai sensi dell’art. 1376 c.c., «hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto», nei quali «la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato» (c.d. principio consensualistico). Il divieto legislativo non si riferisce quindi a “tutte le modifiche del patrimonio”, ma solo ai patti ad effetti reali che i coniugi non possono inserire tra le condizioni economiche connesse alla separazione personale o al divorzio.

A tale conclusione il Consiglio di Stato perviene attraverso un’interpretazione di tipo sistematico, affermando che “il legislatore – quando ha inteso riferirsi anche alle altre pattuizioni di ordine economico e, in particolare, agli accordi aventi effetti obbligatori, con i quali invece un coniuge assume l’obbligo di corrispondere periodicamente un assegno a titolo di mantenimento in favore dell’altro – ha dato rilievo alle «condizioni» economiche” che sono onnicomprensive, perché disciplinanti tutti gli accordi economici, anche quelli ad effetti obbligatori”.

Secondo il supremo organo di giustizia amministrativa è dato cogliere questa “chiara distinzione” proprio nell’art. 12, comma 3, del d.l. n. 132 del 2014 “laddove è netta la differenza, nel linguaggio e nell’intendimento del legislatore, tra le «condizioni» e i «patti di trasferimento patrimoniale», secondo un rapporto di genus ad speciem tra le due espressioni”.

Una diversa interpretazione non attribuirebbe alcun senso precettivo alle disposizioni in esame e condurrebbe alla sostanziale disapplicazione dell’istituto in presenza di qualsivoglia accordo che rechi condizioni latu sensu economiche “le quali inevitabilmente incidono, anche mediante la costituzione di obbligazioni, sul patrimonio dei coniugi”.

Né, secondo i giudici amministrativi, tale interpretazione potrebbe condurre ad un pregiudizio per il coniuge “debole”, essendo rimessa all’autonomia delle parti la scelta di optare o meno per la procedura abbreviata di cui all’art. 12 d.l. 132/2014.

Poiché l’intera procedura si fonda sull’accordo, il coniuge economicamente “più forte” non ha infatti un diritto potestativo alla conclusione della procedura semplificata di cui all’art. 12, né può costringere quello “più debole” ad un accordo davanti all’ufficiale dello stato civile. Nessuno vieta quindi a quest’ultimo di negare il proprio consenso e di orientare la vicenda separativa verso altre forme di soluzione, ugualmente lasciate alla scelta delle parti (segnatamente negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte ex art. 6 d.l. 132/2014, procedimento giudiziale dinanzi al tribunale).

La sentenza del Consiglio di Stato è consultabile al seguente link

La circolare del Ministero dell’Interno n. 6/2015 è consultabile al seguente link

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