Pubblicato: 11 Aprile 2017 - Categoria: Blog

Un recente decreto del Tribunale di Milano del 9 marzo 2017 (reperibile in www.ilcaso.it) ha condannato per lite temeraria una madre che aveva proposto ricorso (ex art. 337 ter c.c.) chiedendo che fosse disciplinato in via d’urgenza l’affidamento condiviso della figlia minore, la sua collocazione presso di sè e la determinazione di un contributo di mantenimento a carico dell’altro genitore, il tutto mentre era pendente dinanzi al Tribunale per i Minorenni un giudizio per la declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale (che avrebbe cioè condotto ad un provvedimento ablativo o comunque limitativo di tale responsabilità ex artt. 330-333 c.c.).

La particolarità sta nel fatto che i giudici milanesi hanno ritenuto che il comportamento di questo genitore si configurava come una sorta di abuso del diritto di azione e di difesa e addirittura si era concretato in un’offesa arrecata alla giurisdizione, da sanzionarsi appunto con l’applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c.

Ma perché il Tribunale di Milano è stato così severo con questo genitore?

Ebbene, ha ritenuto che l’azione esperita dinanzi al tribunale ordinario dovesse qualificarsi come un’“azione di disturbo”, volta ad ottenere un giudicato più favorevole – ed eventualmente discordante - rispetto a quanto già deciso in via provvisoria dal Tribunale per i Minorenni. Il procedimento dinanzi al giudice specializzato era giunto peraltro ad un avanzato grado di istruttoria, essendo stata ivi disposta una consulenza tecnica che aveva concluso per la maggiore idoneità del padre a prendersi cura della figlia minore ed aveva disposto di conseguenza. La madre ricorrente non aveva condiviso evidentemente le risultanze di simile istruttoria, tant’è che aveva chiesto al giudice della separazione anche di integrare i quesiti già rivolti in al CTU.

I giudici milanesi hanno affermato che la parte (leggasi: il suo difensore) non poteva non conoscere che l’art. 38 delle disposizioni di attuazione stabilisce che il tribunale ordinario può emettere i provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, attraendo a sé questa competenza (al posto del Tribunale per i Minorenni, naturalmente competente), solo se “sia in corso tra le stesse parti” il giudizio di separazione, di divorzio o di affidamento dei figli nati tra genitori non coniugati. Si tratta cioè di una deroga alla naturale competenza del Tribunale per i Minorenni rigorosamente ancorata al principio della prevenzione ed è volta a consentire la concentrazione delle tutele – un solo giudice (il primo adito) può e deve decidere sulla responsabilità – dovendosi favorire decisioni celeri e soprattutto conformi al superiore interesse del minore.

Il problema che ci sembra sia stato sottovalutato dal Tribunale di Milano è che vi è sovente una stretta relazione - e talvolta una sovrapponibilità - tra i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli minori e quelli previsti dagli artt. 330 e 333 c.c. Ciò accade ad esempio quando i primi non si limitino a regolare la collocazione prevalente presso l’uno o l’altro genitore e i tempi di frequentazione tra genitore non collocatario e figli, bensì incidano sulla titolarità e l'esercizio della responsabilità genitoriale, come nelle ipotesi di affidamento ai servizi sociali, o di affidamento monogenitoriale con rilevante o totale compressione del diritto di visita.

In questi casi la domanda di affidamento esclusivo per il comportamento pregiudizievole dell'altro genitore, svolta in pendenza di un conflitto familiare, e la richiesta di un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale (secondo quanto previsto dagli artt. 333 e 330 c.c.) sono sostanzialmente indistinguibili ed appunto l’art. 38 comma 1 disp. att. c.c. (come riformato dalla cd. riforma della filiazione l. 219/2012) consente al Tribunale ordinario, che sia stato già investito della risoluzione del conflitto familiare, di estendere la propria competenza attraendo a sé anche quella naturale del Tribunale per i Minorenni in materia.

Rimane però non del tutto chiaro cosa accade se, pendente un giudizio de potestate dinanzi al giudice specializzato, nel successivo giudizio per la risoluzione del conflitto familiare i genitori avanzino domande relative all’affidamento.

La competenza già radicata presso il Tribunale per i Minorenni abbraccerà dunque anche queste domande, al punto che esse debbano essere dichiarate inammissibili nel successivo giudizio dinanzi al Tribunale ordinario?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (la n. 432 del 14.1.2016), nel descrivere in motivazione le varie ipotesi di concorrenza tra la competenza del giudice specializzato e il giudice ordinario, ha individuato chiaramente quale principio guida quello della concentrazione delle tutele in capo al giudice che previamente sia stato chiamato a giudicare su comportamenti “disfunzionali” nell’esercizio della responsabilità genitoriale.

Secondo il Tribunale milanese, però, se è già in corso un giudizio de potestate dinanzi al Tribunale per i Minorenni, quest’ultimo giudice resterebbe competente ad emettere i provvedimenti relativi alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, anche quando nel giudizio ordinario successivamente iniziato non si faccia discussione su eventuali “comportamenti pregiudizievoli” ma si debba semplicemente decidere chi dovrà essere il genitore collocatario e quindi chi dovrà versare l’eventuale assegno perequativo.

Nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale di Milano, peraltro, lo stesso giudice minorile aveva emesso un decreto limitativo della responsabilità ex art. 333 c.c. ed aveva al contempo dichiarato la propria incompetenza in ordine alle domande svolte da ciascun genitore in relazione all’affidamento della figlia.

Ebbene, secondo i giudici milanesi la successiva domanda di affidamento (condiviso) avanzata dalla madre era inammissibile, ed anzi qualificabile come “un’azione di disturbo” volta a creare un possibile conflitto di giudicati (a detrimento dell’interesse del minore).

A favore del giudice specializzato previamente adito si realizzerebbe cioè una sorta di perpetuatio iurisditionis (come affermato anche da altri provvedimenti di merito quali Trib. Milano sez. IX civ. 22.2.2017; C. App. Catania decreto 26.1.2017), che comporterebbe l’attrazione presso detto giudice anche delle questioni relative all’affidamento.

Questa giurisprudenza (assolutamente consolidata presso il Tribunale di Milano cfr. ex multis decreto del 20.11.2013) appare invero in netto contrasto con altra giurisprudenza della Corte di Cassazione (si veda specialmente Cass. 25798 del 14.12.2016) che, decidendo in una fattispecie del tutto analoga, ha infatti ritenuto che il Tribunale ordinario – adito successivamente da uno dei genitori ex art. 337 ter c.c. – abbia competenza a decidere sull’affidamento dei figli minori poiché “se vi è una attrazione di competenza dal Tribunale Minorile a quello Ordinario … non è assolutamente prevista un’opposta attrazione dal Tribunale Ordinario a quello minorile”.

Nonostante ciò  il Tribunale di Milano ha ritenuto che l’art. 38 disp. att. c.c. è ormai “interpretato in maniera chiara e costante” dalla Corte di Cassazione e che quindi l’iniziativa processuale esperita dinanzi a sé presentava “chiari profili di temerarietà” avendo la parte omesso di osservare la “minima diligenza nella preliminare verifica dei necessari presupposti per la proposizione della domanda”. Per queste ragioni la ricorrente doveva essere condannata per responsabilità aggravata (ex art. 96 c.p.c.).

Quando è già pendente un procedimento de potestate occorrerà quindi fare molta attenzione nel formulare al giudice del conflitto familiare domande relative all’affidamento cercando semmai di veicolare nel giudizio già in corso ogni richiesta, anche istruttoria.

L’attuale ripartizione di competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni.

Appare opportuno a questo punto a ricapitolare per sommi capi le modifiche che la legge 219/2012 (riforma della filiazione) ha apportato all’art. 38 disp. att. c.c., rivoluzionando la ripartizione delle competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni.

Detta legge ha sottratto al giudice specializzato per attribuirle al Tribunale ordinario tutta una serie di materie, quali:

- l’amministrazione del fondo patrimoniale in presenza di figli minori in caso di scioglimento del vincolo matrimoniale (ex art. 171 c.c.);

- la divisione dei beni della comunione con eventuale costituzione di usufrutto a favore di uno dei coniugi, nell’interesse della prole (ex art. 194, secondo comma, c.c.);

- il riconoscimento dei figli minori (ex art. 250 c.c.);

- l’affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e il suo inserimento nella famiglia del genitore (ex art. 252 c.c.);

- i provvedimenti in ordine all’assunzione del cognome da parte del figlio (ex art. 262 c.c.);

- le decisioni in ordine all’impugnazione del provvedimento di riconoscimento da parte del riconosciuto (ex art. 264 c.c.);

- la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale rispetto ad un figlio minore (ex art. 269, primo comma);

- i provvedimenti in caso di contrasti sull’esercizio della responsabilità genitoriale (ex art. 316 c.c., che oggi comprende anche i provvedimenti già disciplinati dall’art. 317 bis c.c. riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio).

Sono rimaste invece di competenza del Tribunale per i Minorenni le materie regolate:

- dagli artt. 84 e 90 c.c. (ammissione al matrimonio del minorenne);

- dagli artt. 334, 335 c.c. (rimozione e riammissione all’amministrazione dei beni del minore);

- dall’art. 371 ult. co. c.c. (autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’impresa del minore da parte del tutore).

Sono rimaste infine di competenza del Tribunale specializzato, come detto, le azioni relative alla responsabilità genitoriale cd. de potestate (art. 333 e 330 c.c.), nonostante che - con una disposizione che a mio parere resta alquanto ambigua - sia stata prevista l’attrazione nella competenza del tribunale ordinario dei “procedimenti” ex art. 333 c.c. allorché sia in corso “tra le stesse parti” il giudizio di separazione o divorzio, o il giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c. (attinente al regolamento dell’esercizio della responsabilità genitoriale riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio).

In questi casi il tribunale ordinario, per “tutta la durata del processo”, è competente ad emanare “anche” tutti i provvedimenti indicati nella prima parte della norma (si badi, in questa prima parte sono richiamati anche i provvedimenti di decadenza).

La Corte di Cassazione ha chiarito che la competenza de qua resta in capo al giudice ordinario anche durante la pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato del provvedimento conclusivo, e che l'identità delle parti dei due giudizi (pure richiesta dalla norma derogativa) non è esclusa dalla partecipazione del pubblico ministero (Cass. 1349 del 26 gennaio 2015).

Per completezza occorre infine ricordare che il D. L.vo n. 154/2013 ha ulteriormente modificato il primo comma dell’art. 38, riservando alla competenza del tribunale per i minorenni anche i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 c.c. (autorizzazione al riconoscimento dei figli nati tra persone legate da vincoli di parentela) e 317 bis c.c. (provvedimenti relativi all’esercizio del diritto di visita dei nonni, giusta la riscrittura di questo articolo ad opera dell’art. 42 del medesimo decreto).

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